Oltre 600 casi di melanoma oculare al Cnao: la protonterapia sembra la nuova maga della guarigione

Oltre 600 casi di melanoma oculare al Cnao: la protonterapia sembra la nuova maga della guarigione
Sono oltre 600 i pazienti affetti da melanoma oculare che hanno trovato una speranza concreta grazie alla protonterapia presso il CNAO di Pavia, il centro nazionale di adroterapia oncologica. Questa struttura, riconosciuta a livello mondiale come uno dei 15 centri d’eccellenza per la cura di questo raro tumore tramite fasci di protoni, evita l’asportazione chirurgica dell’occhio, mantenendo così una qualità di vita dignitosa per i pazienti. Non è un risultato da poco: il controllo locale del tumore a cinque anni raggiunge il 95%, una vera manna per una neoplasia ostica e con un’alta propensione a generare metastasi, soprattutto al fegato.

Il melanoma oculare non è certo una star tra i tumori, ma è il più comune tumore raro negli adulti, come spiega la radioterapista Maria Rosaria Fiore, esperta del CNAO. Il tumore origina dai melanociti della tonaca uveale, in particolare nella coroide, che è il bersaglio preferito del 90% di questi melanomi uveali. Colpisce prevalentemente persone tra i 50 e i 70 anni, anche se ogni tanto prova a farsi notare in età più giovane, ma mai prima dei 30 anni. In Italia le nuove diagnosi si aggirano attorno alle 400 all’anno, non proprio un’invasione di massa, ma comunque una sfida seria.

La clinica di questo tumore gioca a nascondino e spesso si scopre solo per caso durante esami oculari di routine, dato che i pazienti sono spesso asintomatici. Quando si manifesta, regala ai malcapitati una lista di amenità: vista offuscata, lampi o scintille, difetti nel campo visivo, mosche volanti e, per chi ama il brivido, perfino un po’ di dolore oculare. Se il tumore si ingrossa o si insedia in zone delicate come il nervo ottico, la perdita della vista diventa quasi inevitabile.

Per un bel pezzo, la soluzione principe era l’enucleazione, ovvero il taglio netto con la rimozione dell’occhio malato. Ma dagli anni ’70 qualcosa ha iniziato a scricchiolare: la chirurgia sembrava decisamente inefficace nel prevenire la metastasi. Così si è cominciato a investigare soluzioni meno drastiche e più tecnologiche. Il melanoma oculare è stato il capostipite nell’uso clinico della protonterapia, una tecnica di radioterapia che usa protoni invece dei classici raggi X.

L’era della protonterapia per i melanomi oculari nasce nel 1975 negli Stati Uniti, quando per la prima volta fu applicata a un paziente. Da allora, tra gli anni ’80 e oggi, gli studi scientifici a supporto di questa cura si sono moltiplicati, consacrandola come una valida alternativa oltre la chirurgia tradizionale e la brachiterapia. Insomma, finalmente un approccio che non ti toglie un occhio e non ti lascia a vedere il mondo tutto storto.

Se pensavate che preservare l’occhio e, addirittura, la vista fosse solo un sogno irraggiungibile per chi combatte contro il melanoma oculare, preparatevi a ricredervi. Studi, incredibilmente smentiscono ogni dubbio, dimostrando che non esistono differenze significative nel controllo locale della malattia, ovvero nella sopravvivenza senza progressione tumorale. Sorpresa! È possibile conservare l’occhio e, per molti pazienti, mantenere anche la funzionalità visiva.

Gianluca Vago, presidente del Cnao e direttore del dipartimento di Oncologia e Oncoematologia dell’Università degli Studi di Milano, spiega con la solita modestia scientifica:

“La protonterapia permette di ottimizzare la dose di radiazioni direttamente sul tumore, minimizzando il danno ai tessuti sani circostanti e riducendo così effetti collaterali a lungo termine. Vista la posizione delicata del melanoma oculare vicino a strutture sensibili, è proprio questo tumore a trarre i maggiori benefici dall’adroterapia. E quasi tutti i pazienti riescono a mantenere il controllo della malattia, evitando interventi chirurgici demolitivi.”

Ah, e non dimentichiamo che prima del 2016, i malati dovevano trasferirsi all’estero per queste cure high-tech, perché in Italia niente di tutto ciò era disponibile. Il glorioso Cnao si è finalmente attrezzato con un fascio di protoni a scanning attivo — che non è un incantesimo di Harry Potter, ma una tecnica altamente sofisticata che permette di indirizzare con precisione il fascio protonico sul tumore — specificamente implementato per il melanoma oculare.

Mario Ciocca, responsabile dell’Unità di Fisica Medica di Cnao, ci immerge ancora più a fondo nella meraviglia tecnologica:

“A livello mondiale, il trattamento oculare con protoni si esegue ancora con tecniche passive e in sale dedicate esclusivamente a questa patologia. Nel 2015, i nostri fisici medici hanno fatto il miracolo di adattare la linea di fascio esistente per renderla idonea anche ai trattamenti oculari, mantenendo la stessa qualità. In pratica abbiamo abbinato lo scanning attivo a un collimatore personalizzato. Risultato? Oggi questa tecnica sta diventando un modello seguito anche da altri centri nel mondo per rendere la protonterapia oculare più accessibile nella pratica clinica.”

Come sempre, la burocrazia ha fatto la sua parte: il trattamento del melanoma oculare presso il Cnao è diventato realtà grazie alla Delibera n° 1189/2019 della Regione Lombardia, che ha autorizzato e sostenuto con entusiasmo l’attivazione di questo servizio, ribadendo il ruolo del Cnao come faro luminoso delle terapie oncologiche avanzate. A dirigere questo dipartimento clinico c’è Ester Orlandi, che di certo apprezzerà il riconoscimento.

Ma non credete che un super trattamento si faccia a colpi di magia o di singoli eroi. La protonterapia per il melanoma oculare è l’esempio perfetto di un’orchestra multidisciplinare, con l’oculista specialista in chirurgia oncologica, il radioterapista, il fisico medico e il bioingegnere che suonano in sincronia per una sinfonia salvavita.

Come ricorda la dottoressa Fiore, il primo passo consiste nella diagnosi presso un centro di oftalmologia di riferimento, dove l’oculista esperto fa il suo dovere. Poi, per garantire la “massima efficacia” (leggasi: non sprecare tempo e soldi), il paziente viene confermato da un centro specializzato di alta eccellenza. Ecco allora che il Cnao collabora strettamente con centri prestigiosi come la divisione di Oculistica Oncologica degli Ospedali Galliera di Genova, e più recentemente con l’Oncologia Oculare dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e il Policlinico Gemelli di Roma. Insomma, un bel giro d’Italia per il malato da un esperto all’altro, tutto per la preziosa cura.

Martina Angi, direttrice della Chirurgia Oncologica Oculare dell’Int di Milano, svela i retroscena:

“All’interno della Fondazione IRCCS Int di Milano c’è una struttura dedicata esclusivamente alla chirurgia oncologica oculare. Qui, un’équipe multidisciplinare confeziona percorsi terapeutici su misura, seguendo ogni fase: dalla diagnosi alle terapie sistemiche, dalla chirurgia alla radioterapia, con un’attenzione speciale alla salvaguardia dell’organo e alla funzionalità visiva. E oggi, grazie alla protonterapia, tutto questo è più che possibile.”

Naturalmente, prima di iniziare la magia biomedica, il paziente viene sottoposto a un intervento oculistico per l’applicazione di quattro minuscole clips in tantalio — sì, proprio quel metallo raro che suona come un ingrediente da pozione magica — che servono a guidare la precisione della terapia protonica. Dettagli trascurabili per noi comuni mortali, ma essenziali in questo balletto di scienza e tecnologia.

E non finisce qui. Dopo l’intervento chirurgico, il paziente viene spedito a Cnao, che suona come un nome da nuova startup tech, ma è il Centro Nazionale di Adroterapia Oncologica, ovvero il santuario della radioterapia con protoni. Qui gli esperti – non uno ma un intero esercito multidisciplinare – discutono senza sosta, come se stessero progettando una missione lunare, il piano di trattamento migliore.

Fiore, con tutta la sua modestia, ci ricorda che la loro squadra ha già mandato più di 400 pazienti a Cnao per questa sofisticatissima cura coi protoni. Dopo l’intervento, al Cnao si eseguono tutte le preparazioni necessarie. Si fa una TAC di centratura con una maschera personalizzata, roba che neanche le star del cinema hanno così tanta attenzione ai dettagli.

Il paziente viene sistemato su una sedia dedicata, attaccata a un aggeggio che fissa lo sguardo. Perché? Perché la radioterapia con protoni non è uno scherzo, e per non colpire i nervi (o peggio), serve sapere esattamente dove guarda il paziente. Qui entra in gioco il magico “Eye Tracking System” (ETS) – non un nuovo videogioco, ma un sistema per monitorare e controllare in tempo reale i movimenti dell’occhio.

La precisione è garantita da robot e sistemi di tracciamento ottico che assicurano che la luce di fissazione non si sposti nemmeno di un millimetro. Tutto questo in una quattro giorni di trattamento consecutivo, durante i quali il paziente diventa un modello di immobilità e pazienza. E, naturalmente, dopo il tutto, torna ai controlli, perché la paranoia preventiva non è mai troppa.

Le meraviglie della prevenzione oculare

Tra le chicche del rischio ci sono le condizioni ereditarie che suonano come nomi da saga fantasy: melanocitosi oculodermica, nei coroideali e altre diavolerie che, ovviamente, necessitano di controlli costanti a vita, perché stare tranquilli non è contemplato.

Ah, la prevenzione, questo mantra che ogni buon medico ripete con fede quasi religiosa: non dimenticate la visita oculistica annuale, a partire da 40 anni. Apparentemente, prima di quella soglia, potete dormire sonni tranquilli, salvo che il vostro occhio non decida di fare i capricci prima del previsto.

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