Ah, il glorioso Fondo Sovrano Norvegese, quel tesoro da 2 trilioni di dollari che tutti sogniamo di avere sotto il cuscino. Ebbene, il nostro gigante scandinavo ha fatto sapere che nel terzo trimestre ha spuntato un ritorno del 5,8%, grazie a guadagni robusti nei mercati azionari soprattutto nei settori delle materie prime, telecomunicazioni e servizi finanziari. Come dire: niente male per una bomba petrolifera trasformata in macchina da soldi globale.
Norges Bank Investment Management gestisce questo immenso barattolo di miele finanziario per conto del popolo norvegese. Nato negli anni ’90 per investire gli eccessi di ricavi dell’industria fossile norvegese, oggi il fondo si perde in asset sparsi in ben 70 paesi. Per capirci, a fine settembre il Government Pension Fund Global valeva poco piĂą di 20,4 trilioni di corone norvegesi, che sono circa 2 trilioni di dollari, con un incremento mostruoso di 854 miliardi di corone solo nell’ultimo trimestre. Tradotto: hanno guadagnato la bellezza di 102,56 miliardi di dollari—sì, proprio quella cifra con cui saremmo felici di fare un picnic.
Naturalmente, gli ha fatto notare NBIM, il rendimento è stato appena un pelino sotto l’indice di riferimento: 0,06% in meno. Ma non si preoccupino i fan dell’alta finanza, perché le azioni nel trimestre hanno dato un bel +7,7%. E chi ha guidato questa festa? Ovviamente i soliti noti: materie prime, telecomunicazioni e il sempre proficuo settore finanziario, come ha dichiarato con un sorriso sornione il vice CEO Trond Grande.
Vorrete sapere chi sono le star del portafoglio americano, vero? Circa il 40% degli investimenti azionari è nel mercato statunitense, con un cast di giganti della tecnologia da far girare la testa: Meta, Alphabet, Amazon, Nvidia e Microsoft. Non mancano nemmeno le glorie dei servizi finanziari e del retail, come JP Morgan Chase, Walmart, Eli Lilly e Coca Cola. Insomma, il portfolio fa il pieno di Nasdaq ed è pronto a cavalcare sia le mode che le modevaine economiche.
Ovviamente, il mercato statunitense non è stato il terreno tranquillo che tutti sognano. Tra vendite furiose e record storici, Wall Street si è aggrovigliata tra tariffe commerciali e qualche segnale nebbioso sull’andamento dell’economia americana. Però, sorpresa sorpresa! Le azioni Big Tech hanno festeggiato il trimestre con un bel saliscendi verso l’alto, grazie alle speranze riposte nel miracoloso boom dell’intelligenza artificiale—almeno fino a poco fa, quando è scoppiata la bolla dei giganti tech e la volatilità ha preso a ballare sotto le scarpe degli investitori.
Non è finita qui: il fondo, oltre che in azioni, si è lanciato anche in obbligazioni, infrastrutture per energie rinnovabili e immobili. Nel trimestre, le obbligazioni hanno restituito un modesto 1,4%, le rinnovabili un sorriso del 0,3% e gli immobili un più consistente 1,1%. La distribuzione patrimoniale è da manuale: 71,2% in azioni, 26,6% in obbligazioni, 1,8% in immobili non quotati e il 0,4% nelle infrastrutture energetiche pulite. Capitale fresco? 81 miliardi di corone in arrivo dopo aver messo in conto le spese di gestione. Soldi che, ovviamente, quando piovono sembrano sempre poca cosa per uno yacht planetario come questo.
Tra le mosse più brillanti di cui fregiarsi, a settembre il fondo ha deciso di investire la bellezza di 543 miliardi di dollari in un grattacielo nel cuore di Manhattan. Sì, niente villa al mare, ma un colosso di uffici tra i più cari del mondo, così da lasciare il segno—o anche solo la gigantesca impronta del portafoglio norvegese nella Grande Mela.
Nel frattempo, la corona norvegese si è stabilizzata, apprezzandosi di uno 0,7% sul dollaro solo nel trimestre, e di un incredibile 12% nell’arco dell’anno. Chissà se anche questo è merito degli investimenti intelligenti o semplicemente dell’aria frizzante scandinava.
Ma non tutto è rose e fiori nella felice Norvegia. A far imbufalire l’amministrazione americana è stata una decisione di bloccare alcune attività di investimento del fondo in Israele. L’amministrazione USA si è detta “molto preoccupata” per la scelta norvegese di disinvestire da Caterpillar, società quotata a New York, proprio mentre si discutevano i legami di alcune imprese con il conflitto nella Striscia di Gaza. Una bella scenetta geopolitica, dove il denaro si mescola alla morale e alle tattiche diplomatiche. Da osservare con il sorriso amaro che solo la grande finanza sa regalare.



