Nordio alle prese con l’inchiesta di Milano: come evitare il carcere e mettere il Pd con le spalle al muro, più o meno così riduco i detenuti

Nordio alle prese con l’inchiesta di Milano: come evitare il carcere e mettere il Pd con le spalle al muro, più o meno così riduco i detenuti

«Con la mia riforma, a Milano oggi hanno tutti evitato il carcere. Vorrei sapere cosa ne pensa il Partito Democratico». Eh sì, il ministro della Giustizia Carlo Nordio decide di partire da un’operazione anticorruzione sull’urbanistica nella scintillante metropoli lombarda per parlare di carceri e annunciare le “nuove misure” che sembrano spuntare da un cilindro magico “a breve”. Rivendica con orgoglio la sua norma sull’arresto posticipato all’interrogatorio, come se fosse la scoperta dell’acqua calda, e ignorando del tutto l’invito a ritirare quella che ormai tutti chiamano la “legge Salva Milano” perché, si sa, le leggi non si fanno o si disfano in base all’emotività popolare o politica. E sulla corruzione, ci informa con la saggezza di un antico: «Nel merito non so se ci sia o no. Le leggi ci sono. Ma è illusorio pensare che possano fermare un fenomeno che c’è dai tempi di Cicerone».

Ah, il sovraffollamento carcerario, tema caldo! Prima Sergio Mattarella e ora i parlamentari (ah, quei duri e puri) si chiedono quando si tornerà finalmente alla “legalità costituzionale”. Risposta di Nordio, che maneggia parole fatte con l’eleganza di un bisturi: «Abbiamo sempre ascoltato con attenzione e riverenza gli appelli del presidente, e cercato di darvi una risposta che coniugasse certezza del diritto e diritti dell’umanità». Quale umanità? Forse quella dei detenuti, o forse del legislatore che fa finta di fare qualcosa? Nel frattempo però, ci rassicura, si stanno raggiungendo i “primi obiettivi”: cominciando con i detenuti che possono godere di qualche misura alternativa, mica mandati in vacanza, eh.

Ma che ci dobbiamo aspettare e soprattutto quando? Attenzione, novità clamorosa: «Prima quello che non si farà: né indulto né liberazione anticipata». Non si limiteranno insomma a quei provvedimenti semplici e veloci per ridurre un sovraffollamento che sembra più un’emergenza permanente, ma saranno sorprendentemente “inutili” e, udite udite, addirittura una “manifestazione di debolezza dello Stato o addirittura di resa”. Aiuto, la resa? No, grazie. Meglio farsi venire il mal di testa con soluzioni più sofisticate, vero?

Ecco cosa dice lui sui numeri, coscienza matematica e prova schiacciante: «Nel luglio 2006, con il governo Prodi, la popolazione detenuta era di 60.710 persone. Con l’indulto ne fu liberato il 36%. Tre anni dopo erano saliti a 63.472, con una crescita costante e una recidiva da record del 48%». Quindi il secondo indulto ha sì liberato metà popolo carcerario, ma in fondo non è servito, perché i numeri sono risaliti più in fretta di uno sciatore sulle Alpi.

Allora che facciamo? Nulla? Macché. La brillante illuminazione arriva subito: «No. Noi ora ci stiamo occupando di 10.105 detenuti definitivi con pena residua sotto i 24 mesi, che possono fruire di misure alternative. Se solo la metà fosse riconosciuta meritevole, saremmo a buon punto». Per chi non avesse capito: meglio “misure alternative”, che in gergo significa “liberiamo metà di loro a patto che siano buoni, o almeno apparentemente tali”. Nel frattempo, però, nessun indulto, nessuna liberazione anticipata. Perché tanto la costante di questo Paese rimane la solita: promettere mondi e carceri nuovi, e poi accontentarsi con una manciata di … perfezioni a metà.

Siamo ancora a discutere di «se» e «quando»? La palla è nel campo dei magistrati di sorveglianza, i quali, caso per caso, devono decidere se concedere o meno qualche favore. Nel frattempo, li ringraziamo, eh sì, come i loro assistenti, che sono così pochi da far sembrare un deserto persino il loro ufficio. Così abbiamo pensato bene, mica scherziamo, di sollecitare già dall’agosto scorso il Consiglio Superiore della Magistratura a riempire quei posti scoperti che, evidentemente, nessuno voleva toccare prima.

Il famigerato piano carceri? Preparatevi a una rivoluzione epocale: oggi abbiamo lanciato un interpello per 102 amministrativi destinati esclusivamente agli uffici dei magistrati di sorveglianza. Ma non finisce qui, perché – rullo di tamburi – amplieremo la pianta organica con 58 nuovi magistrati, due per ogni ufficio giudiziario. Ah, e dal 30 giugno, di quei 6.000 addetti all’ufficio del processo, una bella fetta, stabilizzata con fondi statali, finirà alla magistratura di sorveglianza. Insomma, roba da far venire le lacrime di gioia.

E quando si vedranno finalmente i risultati, vi chiederete? Be’, già da settembre, chissà… Nel frattempo, tenetevi forte, si interverrà su tre fronti che faranno tremare i pilastri del sistema. Primo: oltre 15.000 detenuti sono in attesa di una condanna definitiva, bloccati in un limbo carcerario chiamato custodia preventiva. Secondo: spedire a casa i detenuti stranieri, nelle carceri dei loro Paesi d’origine, sembra la soluzione ovvia, basterebbe mandare via la metà di loro. Terzo: tossicodipendenti, per i quali sono stati stanziati ben 5 milioni di euro all’anno per trattamenti in custodia attenuata, comunità e altre strutture che qualcuno ha già dato per “accettabili”. Trattamenti, ovviamente, che non si improvvisano, eh.

La domanda fatidica: perché si aspetta ancora? Risposta semplice e drastica: perché smantellare decenni di inefficienza e cecità politica è un’impresa titanica. Le carceri sono sempre state un buco nero per gli investimenti, soprattutto perché non danno il consenso elettorale immediato. Spesa 100 milioni per un ospedale e tutti applaudono; per un carcere, invece, tutti a lamentarsi, come se le scuole e gli impianti sportivi fossero alternative esclusive. Ma ora, finalmente, con il nuovo commissario straordinario abbiamo deciso di correre ai ripari.

Intanto, qualcuno muore soffocato dallo strapieno delle celle: due problemi gravissimi, dicono, ma non collegati. Anzi, il sovraffollamento sarebbe addirittura una “forma di controllo”: chi tenta il suicidio viene salvato dai compagni di cella, perché la solitudine è il vero killer. E poi c’è la mancanza di speranza, quell’insicurezza sul futuro che porta al gesto estremo proprio quando la libertà è a un passo. Ovviamente, il sostegno psicologico è indispensabile e, udite udite, abbiamo stanziato pure risorse sostanziose per questo. Non si smetta mai di stupirsi.

La separazione delle carriere sarà il grande trionfo, anzi no

Passiamo ora al capolavoro politico: la tanto discussa separazione delle carriere giudiziarie, che sta per ottenere il via libera senza neanche un emendamento approvato a modificarla. Strano, vero? O forse no, visto che alcuni la definiscono una «torsione illiberale»— soprattutto il Partito Democratico, sempre pronto a scomodare epiteti roboanti. Ma, sorpresa delle sorprese, quella separazione – proprio come succede nei Paesi civili dove la democrazia è nata, tipo Gran Bretagna o Stati Uniti – è assolutamente normale. L’altra Europa fa altrettanto. Insomma, tutto questo linguaggio apocalittico e stonato non è altro che una clamorosa ammissione di debolezza argomentativa.

Ma, ovviamente, non poteva mancare il colpo di scena: per evitare di impantanarsi nell’ostruzionismo parlamentare, noto e amato dall’opposizione, si è fatto ricorso al famigerato «canguro», ossia la pratica di saltare l’esame degli emendamenti su una riforma costituzionale. Nulla di illegittimo, sia chiaro: da una parte l’ostruzionismo, legittimo; dall’altra, l’utilizzo delle regole— anche questo legittimo. Il tutto condito da un’aria di inevitabilità politica che fa tanto “chi ha tempo non aspetti tempo”.

Il dialogo che non c’è

Il tanto auspicato dialogo con l’Associazione Nazionale Magistrati? Sfumato, anzi, evaporato nell’aria. Da una parte, parole gentili; dall’altra, accuse velenose del segretario dell’Anm che ha bollato come “goffo tentativo” il comportamento del governo nel caso Almasri, suggerendo un intento ostruzionistico della magistratura. Il nostro interlocutore, per la cronaca, dice di non aver mai attaccato i magistrati né il Tribunale dei Ministri, di cui aspetta con “rispetto” la decisione finale. Queste uscite al vetriolo sembrano piuttosto raccontare una rabbia livorosa che, francamente, non promette nulla di buono per il futuro.

E sul caso Almasri? Beh, come un film senza finale, il commento è stringato: «Ho già detto tutto». Traduzione: meglio non aggiungere altro, lasciamo al mistero il suo fascino.

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