Noemi Di Segni e il funerale del Papa: un omaggio di pura casualità nel giorno di Shabbat

Noemi Di Segni e il funerale del Papa: un omaggio di pura casualità nel giorno di Shabbat

Noemi Di Segni, la presidentessa dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, si appresta a partecipare ai funerali di papa Francesco, ma, naturalmente, dovrà seguire delle regole rigorose a causa dello Shabbat. Non è affascinante come l’adorazione per le tradizioni possa complicare anche i momenti più tristi? “Sì,” conferma Di Segni, “abbiamo consultato le autorità rabbiniche europee e israeliane, dato che i funerali ebraici non si tengono mai di sabato; una delle benedette regole dello Shabbat impedisce la partecipazione a cerimonie funebri, poiché il giorno è consacrato al riposo, alla preghiera e alla famiglia. Quindi, niente cucina, niente auto…”

Chissà come si sentirà a dover andare a piedi fino al Vaticano! Fatto curioso, il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, e il presidente della comunità romana, Victor Fadlun, percorreranno ben quattro chilometri dalla Sinagoga a San Pietro. Ma, oh, la fortuna sorride a Di Segni: “Io sono più fortunata di loro,” dice, “perché abito a Porta Cavalleggeri, mi basterà attraversare la strada.”

Ci sono momenti in cui il rispetto delle tradizioni sembra tirare delle belle fregature. Il rabbino capo e Fadlun hanno onorato la salma di Francesco a Santa Marta, una mossa che già di per sé è un’eccezione significativa alla tradizione ebraica. Fadlun stava per svenire all’idea: “Vero,” ammette, “perché il volto del defunto da noi viene subito coperto. Ma credo sia giusto così, visto che Francesco è stato un Papa eccezionale. Dobbiamo rendere omaggio alla sua persona e all’importanza delle relazioni che ha costruito a livello mondiale con l’ebraismo. La nostra presenza è doverosa; l’assenza avrebbe creato molto più imbarazzo.”

Ma, sullo sfondo di tutto questo, c’è il silenzio assordante di Bibi Netanyahu, un premier che ha dimostrato qualche interesse un paio di anni fa, presenziando di sabato ai funerali dell’ex cancelliere tedesco Helmut Kohl. E ora? Nemmeno un messaggio di condoglianze per Francesco. “È difficile per me capire il suo silenzio,” sbotta Di Segni, “ma Israele è lo Stato ebraico e c’è un presidente, Herzog, che rappresenta ufficialmente il Paese. Sono felice che lui, invece, abbia inviato un messaggio di condoglianze.”

In effetti, il silenzio di Netanyahu è un bel mistero, un’illusione ottica politica che lascia tutti nel limbo. D’altronde, le aspettative sono alte, specialmente in occasioni come queste. Se la figura di un Papa può unire le persone, perché allora il primo ministro non riesce a trovare il tempo o le parole giuste per esprimere cordialità? Dovrebbe essere quasi automatico.

Intanto, si vocifera che all’esequie parteciperà anche l’ambasciatore di Israele presso la Santa Sede, Yaron Zeidman. “Sì, e forse anche…” beh, chissà chi altro dalla politica riuscirà a ritagliarsi un momento di attenzione. Non sarà solo una questione di rispetto, ma di opportunità, giusto? Che meraviglioso mondo, dove la diplomazia e la religione si intrecciano come un gomitolo di fune arrugginita.

L’ambasciatore in Italia Jonathan Peled, che ha avuto la brillante idea di dedicare un bel post al Papa, ed è riuscito persino a non eliminarlo. Che colpo!

Ma nonostante tutto, il ministero degli Esteri israeliano ha qualcosa da dire. “No, su questo non credo proprio che sia stato impartito un diktat dal governo per far sparire tutti i messaggi di condoglianze. È più un invito a usare un linguaggio che non sembri troppo ebraico, a non considerare il Papa defunto come un rabbino morto, per evitare che le cose si mescolino troppo”, hanno detto. Che signorile preoccupazione per la terminologia!

È curioso notare come quando papa Francesco un giorno osò associare la parola “genocidio” a Gaza, subito si scatenò l’inferno. “Ma anch’io gli feci notare che era un termine poco appropriato e irresponsabile, poiché alimentava un giudizio pesante”, ha affermato qualcuno, dimostrando una magnificenza di discernimento. Ogni tanto sarebbe utile ricordarsi che mentre in Israele si celebra la giornata della memoria della Shoah, è bene non confondere tutto con le questioni odierne. Al Papa lo scrissi in modo piuttosto chiaro in una lettera, proprio prima del suo viaggio ad Auschwitz nel 2016, parlando del muto dolore che avvolge quella terra maledetta in cui siamo stati deportati. Ma certo, non possiamo dimenticare la Terra Santa e la Terra Promessa, giusto?

Eppure, fino all’ultimo, Francesco non ha mai smesso di lanciare appelli contro l’antisemitismo e per liberare gli ostaggi in mano a Hamas. “Infatti, stanno per arrivare a Roma, tra domenica e lunedì, 5 famiglie di rapiti, 2 vivi e 3 morti. Volevano incontrare di persona il Papa e, tramite lui, comunicare al mondo la loro disperazione per non aver ancora riavuto indietro i figli. Ma la loro voce resterà nel vuoto”, ci informa con una punta di rassegnazione.

Quanto la mancherà Francesco? “Vi racconto questo: il 14 aprile scorso andai a trovare a casa la mia amica Edith Bruck con dei dolcetti per la Pasqua ebraica. Il Papa scrisse la prefazione del libro di Edith, mentre io me la cavai con la postfazione. Quel lunedì, ci emozionammo pensando di organizzare un bel rinfresco per il 3 maggio, giorno del compleanno di Edith, aspettando una telefonata di auguri da Francesco. Un privilegio raro. Ma adesso, mentre ricordo, mi fa male pensare che quel telefono non squillerà più”, così, con una dolce malinconia, si chiude un capitolo.

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