La Global Sumud Flottiglia, quella gloriosa armata di navi civili provenienti da ogni angolo del Mediterraneo con la nobile missione di portare aiuti umanitari a Gaza e sfidare il presunto blocco israeliano, ha appena aggiunto un altro capitolo drammatico (ma prevedibilissimo) alla saga. Il 9 settembre, una delle loro navi, la Alma, battente bandiera britannica, sarebbe stata colpita da un drone mentre solcava tranquille acque tunisine. Naturalmente, la notizia viene direttamente dai loro canali social, perché dove altri vedono una situazione complessa, loro preferiscono la trasparenza digitale.
Le immagini video, altro gioiello della modernità, mostrerebbero un drone – rigorosamente senza luci, perché la guerra deve essere anche un po’ stealth – che ha fatto cadere sul ponte dell’Alma un ordigno incendiario. Risultato? Fiamme subito domate, nessun ferito a bordo. Una vera mano santa della precisione tecnologica.
Con la nobiltà che li contraddistingue, gli attivisti sottolineano che, nonostante questi spiacevoli – e alquanto spettacolari – attacchi, la missione continuerà con incrollabile determinazione. Perché farsi fermare da un drone anti-nave quando si ha la forza della giustizia dalla propria parte?
L’episodio, per chi avesse poca memoria selettiva, non è nuovo. Solo il giorno prima, la cosiddetta “Family boat”, imbarcazione sulla quale viaggiava persino la celebre attivista Greta Thunberg, aveva subito un attacco simile, attribuito – ma con dignitosa diplomazia – a un drone israeliano. Culmine del paradosso, quel che secondo il governo tunisino non sarebbe mai successo, mentre gli attivisti oggi tornano alla carica sui social con la “prova regina”: il recupero di un dispositivo elettronico carbonizzato direttamente dal ponte della barca.
Il post non lascia spazio ai dubbi: “Mentre si svolge un’indagine completa, la presenza di questo dispositivo fornisce ulteriori indizi che la barca è stata presa deliberatamente di mira”. Tradotto in soldoni, se pensavate a un incidente, rassegnatevi: qui il destino delle navi è deciso da chi può giocare con la tecnologia senza farsi vedere. Intanto, la missione umanitaria diventa uno spettacolo virale e geopolitico con conseguenze tutte da decifrare.
Il teatro delle contraddizioni: tra aiuti, accuse e smentite
È evidente che la situazione getta una luce irresistibile su un groviglio di contraddizioni da manuale. Da una parte, una flotta che si presenta come pacifica portatrice di pace, dall’altra un contesto che le riserva niente meno che attacchi con droni – ma con una discrezione da spie di basso livello, visto il drone senza luci. E poi le smentite ufficiose, i governi che negano, e gli “attivisti” che rilanciano prove che pare risveglino più domande che risposte.
Mettiamola così: se si fosse trattato di un’azione terroristica, si sarebbero forse aspettati effetti più devastanti; ma se è tutta una sceneggiata per tenere alta l’attenzione mediatica, si parla di un’operazione ben studiata (e soprattutto ben montata). Un favore che nessuno nega, ma in cui la linea tra coraggio civile e propaganda si fa irresistibilmente sottile.
E mentre la Global Sumud Flottiglia continua imperterrita la sua crociata per “rompere il blocco israeliano”, la verità che emerge è che le pie intenzioni spesso si scontrano con una realtà fatta di geopolitica tagliente, sospetti reciproci e una spettacolarizzazione degli eventi che più che avvicinare le parti, rischia di tenerle saldamente divise.
Dunque, nel grande teatro mediterraneo dei tira e molla tra diplomazie, attivismi digitali e tattiche belliche subtile, questa ultima puntata della Global Sumud Flottiglia sembra destinata a diventare uno di quei tasselli di cronaca da riempire di retorica, quando non di cinismo. E in tutto questo, le acque intorno a Gaza sembrano scorrere più infuocate che mai.