Una città con democrazia a singhiozzo: ecco il profilo sconcertante di Napoli, tracciato nell’odierna inchiesta di Paolo Grassi. Una vera giungla di commissari e commissariamenti dove, evidentemente, ci si può perdere anche solo nel tentativo di capire chi decide cosa. Siamo oramai nella situazione in cui abbiamo un commissario per ogni benedetta cosa: dai rifiuti all’emergenza di Caivano, passando per l’America’s Cup e l’autorità portuale, senza dimenticare Bagnoli e il bradisismo. La vera domanda è: ma le istituzioni dove sono? A cosa serve avere un governo centrale, la Regione, il Comune e un intero circo di funzionari se, appena si presenta un problema un po’ più serio, tutto viene gentilmente trasferito a un comitato esterno? Qualcuno avrà il coraggio di dire che per affrontare questioni complesse è meglio saltare le vecchie pratiche burocratiche per il bene dell’efficienza, ma, ahinoi, qui stiamo promuovendo lo smantellamento della democrazia con la delicatezza di un elefante in una cristalleria.
Ma attenzione: questa manovra sta demolendo, pezzo dopo pezzo, i tradizionali istituti democratici. Stiamo svuotando gli strumenti di rappresentanza e partecipazione civica dall’interno. Perché, non lamentiamoci quando, ad ogni elezione, vediamo crescere l’astensione: la politica è in agonia e gli enti locali sono stati scalzati da individui e organismi che ricevono un’investitura diretta dall’esecutivo, rispondendo solo alla sublime volontà del potere centrale. Non è tutto, ovviamente. I commissari, infatti, non si limitano a gestire, ma creano una rete di collaboratori scelti più per affinità personale che per merito, escludendo ulteriormente i cittadini, che vedono premiata l’opportuna amicizia sulla competenza. Ci sono casi dove addirittura la stessa persona riesce ad accumulare più cariche monocratiche. Prendiamo ad esempio il sindaco Gaetano Manfredi, che è anche commissario di governo a Bagnoli e presto sarà chiamato a ‘gestire’ l’America’s Cup. E che dire? È anche presidente della Città Metropolitana, assessore comunale alla Cultura, presidente del Cdi del Teatro San Carlo, leader dell’Anci e icona della sinistra progressista a livello nazionale. Praticamente un uomo vitruviano, se solo il tempo si piegasse a sue volontà, perché, come sappiamo, una giornata ha solo ventiquattro ore. Proprio per questo, bisognerebbe ampliare il team, considerando che gli impegni attuali superano quelli assunti al momento della sua elezione. Ma, ovviamente, nulla di fatto! Movimenti strategici e consistenti sono un miraggio, come fosse un castello di sabbia a rischio di essere spazzato via con un solo tocco.
Certo, Manfredi sta facendo qualche buon lavoro e ha ottenuto alcuni risultati. Ma le istituzioni non possono reggersi solo sulla buona volontà di una singola persona, per cui i cittadini faticano a scommettere su un buio sempre più fitto. Ecco perché la questione non riguarda solo un punto specifico, ma l’intero meccanismo democratico e la partecipazione popolare. Dobbiamo sacrificare un pezzo della nostra identità politica e culturale in nome di interventi più rapidi e funzionali? Stando alle evidenze, sembra di sì. E mentre ciò accade, il concetto di efficienza è più un mantra da ripetere che una realtà praticata!
Un parlamento che realmente avesse a cuore il bene comune e non solo le divisioni ideologiche comprenderebbe invece che i commissariamenti sono la triste certificazione della morte della pubblica amministrazione. Si attiverebbe quindi per un profondo riordino del settore. Riconoscerebbe che la democrazia, minacciata dall’avanzare di populismi e autocrazie, ha bisogno di essere rinvigorita, non distrutta. Ma né la maggioranza né l’opposizione hanno il coraggio di intaccare un sistema fondato su corporativismi e convenienze di parte. Così, il lungo addio alla democrazia, come l’abbiamo conosciuta dal dopoguerra a oggi, continuerà dietro il paravento delle ipocrisie, mentre ci ritroviamo circondati da commissari e privi di misteri da risolvere.


