Il contrasto è palpabile: Giuseppe Conte, leader del Movimento 5 Stelle, convoca una manifestazione a favore della pace mentre il suo partito cerca disperatamente di risollevarsi dopo una caduta così drammatica nelle urne europee del 2024, che ha visto i consensi scendere sotto il 10%. Non è un paradosso, ma l’ennesima dimostrazione della scommessa politica che tende a mascherare un evidente fragore di crisi con bandiere colorate e slogan di pace.
Un corteo “contro” o “per”? Le ambiguità del messaggio
Piazza Vittorio Emanuele II a Roma si anima di simboli: non solo le bandiere del Movimento 5 Stelle e quelle della pace, ma anche kefie palestinesi e cartelli contro il riarmo. Qui, la retorica si mescola alla realtà di un’Europa e di un governo nazionale che sembrano procedere in direzioni opposte. La domanda sorge spontanea: è un’azione di protesta o una mera operazione di marketing politico? Il richiamo alla pace è avvincente, ma appare come l’ennesimo tentativo di conquistare consensi piuttosto che un’effettiva mobilitazione per un cambiamento.
Un futuro radioso o un presente confuso?
È curioso notare come i membri del Movimento 5 Stelle si presentino come “vivosi”, nonostante la loro recente discesa nei consensi. Decantare la propria vitalità mentre si naviga tra una crisi di identità e un mancanza di direzione non è certo un modo efficace per rassicurare il proprio elettorato. Le bandiere della pace, quindi, si ergono come un paravento per coprire le <fragilità interne e le inconsistenze di una proposta politica che fatica a trovare una sua collocazione nel panorama attuale.
L’onda pacifista: uno strumento di mobilitazione!
C’è da chiedersi se sollevare le bandiere della pace possa realmente rappresentare un punto di riferimento per un campo politico più ampio. Gli ex “grillini”, liberatisi dall’ingombrante Beppe Grillo, potrebbero forse cercare di attrarre le sensibilità di un elettorato pacifista più vasto, ma quanto altro può durare questa strategia? Nella logica di una politica da slogan, gli attivisti e simpatizzanti si ritrovano in piazza per rimanere a galla, non per cambiare il mondo.
Possibili soluzioni o illusioni?
Se c’è un insegnamento da trarre da queste manifestazioni, è che la politica della pace non può essere solo un gesto simbolico. Perché non investire seriamente in istruzione e sanità invece di lanciare richieste vaghe alla Commissione Europea? La tentazione di restare fermi a crogiolarsi in manifestazioni di facciata è forte, ma il rischio è di rinforzare il divario tra teoria e pratica, tra i desideri e le reali necessità. Forse, una genuina mobilitazione per la pace richiederebbe un impegno su scala reale, ben oltre le bandiere sventolanti. È questo il momento di chiedersi: siamo realmente pronti a lavorare per il cambiamento oltre l’apparenza?