Mercati tranquilli coi dazi? Gli analisti scuotono la testa e parlano di un pericolo sottovalutato

Mercati tranquilli coi dazi? Gli analisti scuotono la testa e parlano di un pericolo sottovalutato

Quando gli indici azionari schizzano verso livelli storici, la naturale reazione dovrebbe essere un’abbondante razione di cautela. E invece no: l’industria finanziaria sembra aver deciso di ignorare i rischi che Donald Trump continua a rappresentare per l’economia degli Stati Uniti. Morale della favola? Mercati “sereni” e investitori convinti che la tempesta tariffaria sia solo una bolla destinata a scoppiare senza conseguenze.

Dulcis in fundo, la narrativa ufficiale su Wall Street è questa: Trump alla fine si tira sempre indietro. Secondo Vincent Mortier, un pezzo grosso di Amundi, questa comoda convinzione è alla base di una “compiacenza” che definire ingenua è un eufemismo. Il cosiddetto “Taco trade” – ovvero quel gioco di scommesse aperto dai mercati sulla ritirata trumpiana – ha ormai preso piede come certezza, anche se la realtà sembra decisamente meno romantica di così.

Per chi ancora avesse dubbi, un ex alto funzionario dell’amministrazione americana ha sganciato la bomba: Trump ha sempre avuto un debole, un vero e proprio colpo di fulmine per i dazi. Ma tranquilli, ci rassicurano gli investitori – tutti convinti che la nuova offensiva tariffaria verrà abbandonata. Peccato che dall’ultima settimana siano arrivate minacce ben più concrete contro il Giappone, la Corea del Sud, il Canada e il Brasile, roba da far tremare i polsi anche a chi non si occupa di economia globale.

E mentre l’S&P 500 continua a ballare il suo salsa rialzista, con un +30% dai minimi di aprile, il presidente americano non fa una piega: la sua minaccia di far partire dazi “reciproci” dal 1º agosto è lì, bella fresca come il caffè al mattino, senza alcuna intenzione di proroghe o compromessi a meno che le controparti commerciali non si decidano a sedersi al tavolo e raggiungere un accordo. Finora, sorprendentemente, solo Regno Unito, Cina e Vietnam sembrano aver giocato secondo le sue regole.

Come sempre, le grandi banche di Wall Street corrono a mettere una pezza rassicurando i loro clienti: nel loro sacro copione, Trump probabilmente abbasserà la cresta con i dazi più alti, giusto per non far esplodere la tensione sui mercati. Questa favola buona per chi crede nelle fiabe ha avuto l’effetto di calmierare la volatilità e di far scendere il prezzo del denaro per le corporate americane. Un miracolo di ottimismo, insomma.

La mossa ha però un prezzo: la credibilità del presidente americano resta un miraggio, e come conferma Goldman Sachs, è proprio questo il motivo della reazione tiepida e un po’ sonnolenta degli indici ai dazi annunciati. L’S&P 500 ha chiuso giovedì a un nuovo record e venerdì se l’è cavata con una relativa calma. Ma attenzione, perché sotto la superficie fermentano i timori. Robert Tipp, un gigante nel settore delle obbligazioni, ha messo in guardia: “il sentimento Taco potrebbe evaporare da un momento all’altro”, con buona pace della fiducia degli investitori.

Non finisce qui. La Festa dei dazi è accompagnata da una brutta sorpresa: la pressione di Trump sulla Federal Reserve per tagliare i tassi d’interesse continua ai massimi livelli, con critiche feroci all’indipendenza della banca centrale. Nel contempo, il Congresso ha approvato un bilancio presidenziale che per tutti gli analisti indipendenti significa una solida iniezione di debito pubblico in futuro, aka un pasticcio assicurato.

Come ciliegina sulla torta, il dollaro si è preso il lusso di archiviare il peggior primo semestre dal 1973, un dato che dovrebbe far saltare più di qualche sveglia nelle stanze dei bottoni. Banchieri e investitori cominciano seriamente a temere che presto potrebbe scoppiare qualche altra bomba, come un deficit strutturale in aumento verticale, che completerebbe il quadro delle tensioni finanziarie da incubo.

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