Come valutare la straordinaria efficienza della difesa antimissile in Italia e in Europa? Beh, ascoltiamo cosa dice Lorenzo Mariani, il fior fiore dell’industria bellica: Amministratore Delegato di Mbda Italia e Direttore Esecutivo Vendite e Business Development del super consorzio Mbda che coinvolge Airbus, Bae Systems e Leonardo. Secondo lui, c’è un lato positivo ed uno negativo, come sempre. Il positivo? Una “completezza” impressionante dei sistemi antimissile – roba da far invidia a chiunque. Italia e Francia sono a cavallo, usando intelligentemente prodotti Mbda per ogni distanza: corto, medio e lungo raggio. Peccato solo che la Germania, evidentemente poco affezionata all’Europa, preferisca fidarsi degli americani con i loro “patrioti” (Patriot) e degli israeliano-americani con gli “Arrow”.
E qui arriva la ciliegina sulla torta: tutta questa fantasiosa “completezza” coesiste con una frammentazione che fa quasi tenerezza, mentre la disponibilità reale di risorse si rivela non solo insufficiente ma quasi ridicola. Insomma, la splendida macchina bellica europea ogni tanto si inceppa (‘e che ve lo dico a fare’).
Ora, la domanda da un milione di euro – o meglio, da miliardi di euro: l’Europa sarebbe capace di difendersi per un mese intero contro gli attacchi missilistici ciclicamente ammirati su Kiev o Tel Aviv? Mariani si tira indietro con tutta la diplomazia possibile: «Non posso rispondere io». Eh già, la responsabilità passa magicamente ai “comandanti in capo” e alla Nato. Ma tra noi, da esperto, rilancia un secco “no” con tanto di enfasi. Insomma, la scusa questa volta non regge nemmeno un secondo.
Ma quanto ci costerebbe l’onore di avere una difesa antiaerea decente e meno da barzelletta? Mariani non scende nei dettagli per non far impallidire i conti pubblici, ma parla chiaro: servono “svariate decine di miliardi”. Tradotto? Mica bruscolini. Il trucco sarebbe rifornire gli stock di missili e sistemi di difesa, satelliti inclusi, perché al momento i nostri arsenali sembrano quelli dei pirati prima della primavera.
Se poi volete fare i fighi contro i missili ipersonici – quelli sì che sono cosa da film di fantascienza militare – allora preparatevi a sborsare ancora di più. Per non parlare dei famigerati Oreshkin russi, altri non tanto all’altezza quanto alla fantasia di un mercante di armi in vena di drammi geopolitici.
E quando si parla di ricerca e sviluppo, cioè di dare finalmente capacità moderne a sistemi che oggi sembrano usciti da un museo, la favola europea si infrange su un muro fatto di fondi promessi e mai arrivati. Le chiacchiere abbondano, ma i soldi? Boh, si sono persi chissà dove. Il progetto europeo HYDIS, tanto sbandierato, richiede un investimento che finora è rimasto solo un miraggio nei discorsi ufficiali.
Le promesse americane e gli “elefanti bianchi” europei
Inutile dire che le grandi aziende americane tipo Lockheed Martin continuano a vendere sogni di difesa missilistica al miglior offerente, mentre le nostre eccellenze europee arrancano sotto un sistema di cooperazione che sembra più una farsa burocratica che un’efficace alleanza strategica.
Insomma, al netto dei discorsi, la realtà è questa: non abbiamo missili, non abbiamo sistemi, e non abbiamo la volontà di investire seriamente per costruire una difesa antimissile degna di questo nome. Ma, certo, ci ricordano ogni giorno quanto siamo “partner affidabili” della Nato, forse nella speranza che il problema sparisca da solo mentre noi facciamo un passo indietro.
Nel frattempo, continuiamo a chiedere “Ma l’Europa è pronta per resistere a un mese di bombardamenti missilistici?” e la risposta è un’imbarazzante quanto veritiera risatina: “No, purtroppo no”. Ma con stile, ovviamente.
Ah, Raytheon-RTX, quel generoso fornitore statunitense che piazza batterie di sistemi antimissile Patriot al Pentagono per la modica cifra di un miliardo di dollari. Peccato che agli altri Paesi, quelli cosiddetti terzi, lo stesso prodottino venga venduto a 2,5 miliardi. Ma sì, dipendere dagli Stati Uniti ha ancora un senso, vero?
«Gli Stati Uniti sono avanti anni luce. Ma, sorpresa delle sorprese, l’Europa non è del tutto a secco: in certe aree, come la difesa aerea per minacce atmosferiche, siamo quasi a livelli americani. O almeno così ci vogliono far credere. Quando si tratta di missili che fanno l’autostop fuori dall’atmosfera o dei famigerati ipersonici, allora sì, l’Europa resta un po’ indietro», ammettono con rassegnazione gli strateghi. E la causa? Serve ancora da uno a tre anni di “accellerazione” – parola magica che significa “abbiamo rimandato troppo a lungo” – perché il Vecchio Continente possa mettere davvero in moto la sua fantomatica macchina produttiva.
Perché questa lentezza? «Perché per troppo tempo ci siamo fatti bastare il minimo indispensabile in un mondo che, magicamente, sembrava pacifico. Raddoppiare, triplicare o decuplicare la produzione? Una barzelletta. Qui si parla di piccole e medie imprese, che purtroppo devono adattarsi a un sistema che grida “economia di guerra” solo sulla carta, perché l’Europa non l’ha mai vissuta sul serio, a differenza della Russia.
La leggenda narra che ci siano 50 Paesi in lista d’attesa per i famigerati Patriot americani. Vero? «Non si è capito bene se siano cinquantacinque, quarantanove o quarantasette, ma sicuramente le liste sono lunghe e comprendono anche missili meno “glamour” come gli Stinger (sempre rigorosamente made in Raytheon-RTX). L’Italia, ovviamente, ha perso tempo ed è finita nel limbo, trovandosi con attese infinite. Così, per fortuna, si è girata verso di noi.»
Questioni di spesa: la NATO e l’Italia tra miraggi e realtà
Che dire dell’obiettivo nazional-pacifista della NATO di raggiungere il 3,5% del PIL in spese militari, più un ulteriore 1,5% in cybersicurezza e infrastrutture? «Ottima idea», sembra rispondere chi ancora crede nei miracoli di bilancio. «Mettere la cyber in un budget a parte è molto intelligente, così almeno si vede quanto spendiamo per proteggerci dagli hacker e non solo contro i missili balistici. Alcuni Paesi, come la Polonia, hanno già fatto uno sforzo monumentale. Chapeau!»
E l’Italia? «Facciamo i conti alla buona: senza metterci dentro stipendi e missioni esterne, spendiamo tra i 9 e i 10 miliardi all’anno per l’acquisto di armamenti. Per il prossimo biennio teoricamente possiamo raddoppiare – ovvero uno 0,5% del PIL in più in armi – ma oltre quel livello, se vogliamo triplicare o decuplicare, diventa un vero rompicapo. Materie prime, macchine, personale: la solita zuppa dell’industria bellica che, senza un’idea veramente innovativa, rischia di andare in crisi solo a sentirlo dire.»
L’illusione dell’integrazione europea nei sistemi d’arma
Ora, se ci pensate, sarebbe anche logico integrare di più i sistemi d’arma europei. «Lo dico da anni», confessano i burocrati. «I programmi industriali di difesa realizzati in collaborazione dovrebbero ricevere un premio, magari finanziamenti comuni europei più generosi, così da convincere i governi a un briciolo di coerenza. Magari così si eviterebbero quei misteriosi rincari legati all’inflazione sul materiale bellico, perché altrimenti la Russia sembra ringalluzzirsi con la sua economia di guerra, mentre noi, semplici sognatori, assistiamo all’aumento selvaggio dei costi.»
Se solo ci fosse un po’ di sana concorrenza interna tra governi europei per tenere a bada prezzi e sprechi, forse non saremmo alla mercé dei pollici alzati di Washington.
Il prestito Safe: un salvagente o un’illusione?
Infine, la Commissione UE ha proposto il prestito Safe, offerto a condizioni fin troppo vantaggiose, per aiutare i Paesi a finanziare progetti di difesa in collaborazione. L’Italia dovrebbe prenderlo? «Assolutamente sì. Più che per gli interessi bassi e tempi di rimborso generosi, è un’ottima vetrina che l’Italia non dovrebbe lasciarsi sfuggire. Ricordiamoci che non siamo solo consumatori, ma anche produttori ed esportatori di tecnologie belliche. Insomma, possiamo fare bella figura… se e quando riusciremo a mettere insieme tutti i pezzi del puzzle,» conclude l’esperto, con un sorriso amaro.
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