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Marco Gay avverte: il dibattito su Torino deve andare oltre la nostalgia e le etichette da radical chic che non servono a nulla

3 Maggio 2025
Marco Gay avverte: il dibattito su Torino deve andare oltre la nostalgia e le etichette da radical chic che non servono a nulla

«Non sia un esercizio retorico. È un libro da scrivere. Io rappresento l’industria che si confronta sui mercati internazionali. Dobbiamo elevare il livello del dibattito, non ridurlo a slogan».

Ma che rivelazione, vero? Questo è il tipo di argomenti che ci si potrebbe aspettare da un corsivo su una rivista di economia, dove i capi d’industria parlano di affari con la stessa passione con cui parlano delle loro auto. Tra l’altro, pensiamo a Marco Gay, 49 anni, presidente dell’Unione Industriali, che evoca un passato da lontano. Neanche il tempo di andare all’asilo quando si parlava dell’Alleanza per Torino. Ma certo, chi non ha nostalgia di un’epoca in cui il simbolo del progresso era un sindaco?

Stando a quanto dice, «l’Alleanza per Torino ha segnato un passaggio importante per la città». Oh, che sorpresa! Una presunta visione strategica che, chissà come, ha guidato le trasformazioni della città che oggi conosciamo. E while we are at it, chi non ama una buona dose di retorica quando si parla di politica?! Ma torniamo a Marco, che ha chiaramente un programma per il futuro, nonostante non abbia “ricordi diretti” di quegli eventi.

«Penso al sindaco Castellani e ai grandi piani strategici di allora», dice con un’ammirazione che sembra quasi da commedia. Certo, perché chi non vorrebbe tornare all’epoca in cui tutto sembrava possibile, senza preoccuparsi delle matrioske formate dai politici moderni? È così semplice dire che servono «concretezza e visione», mentre ci si veste di nostalgia.

E mentre il nostro amico Marco cerca una soluzione al trend di “asteriscizzazione” dei progetti, non possiamo fare a meno di chiederci: è anacronistico ripartire da quell’esperienza? Naturalmente! Ma non possiamo rimanere bloccati in un glorioso passato; serve «inventare cose nuove». Ma diavolo, chi avrebbe mai pensato che per affrontare i problemi attuali dovessimo effettivamente considerare il presente? Come se quello che ci manca sia una dose di innovazione e non la banale capacità di ascoltare chi vive nel XXI secolo.

«Non sono un fan del giovanilismo per principio», dice, evidentemente consapevole di quante volte ha già suonato il tamburo della modernità, mescolato con una spruzzata di pragmatismo. Certo, parliamo del futuro, inclusività e collaborazione. Tutto suona così bene, come una melodia da campagna elettorale. E, naturalmente, c’è sempre da sfidare la retorica di chi sostiene che “si stava meglio prima”. Che meraviglia! Chi ha bisogno di “concretezza” quando le parole sono così dolci?

Ohibò, siamo di fronte a una nuova iniziativa che promette di riportare in auge la **città di Torino**. Ecco il nostro imprenditore di fiducia, che si dice ignaro di tutto, ma non nasconde l’entusiasmo per un’operazione che, a detta sua, potrebbe diventare un bel palcoscenico per il dialogo tra le varie parti. Non è adorabile come tutti vogliano costruire, mentre noi ci chiediamo quando hanno smesso di farlo?

“Ho solo sentito l’annuncio,” ammette, “ma sicuramente sarà l’occasione per un proficuo scambio di idee.” Naturalmente, lui è lì per promuovere una visione, ma speriamo che non sia quella nebbiosa e fumosa che spesso accompagna progetti simili. D’altronde, parlare di contenuti e visioni è un po’ la moda del momento, vero?

Ah, la “politica oltre la politica”. Questa espressione sembra promettere dei risultati miracolosi, come se, per magia, il sindaco **Lo Russo** potesse far sparire gli interessi elettorali. “È positivo che il sindaco abbia lanciato un’iniziativa del genere,” dice, con il tono d’un uomo che spera che non ci siano trappole nascoste nella bozza di un accordo. Siamo fortunati ad avere così tanta saggezza in città.

Ma tornando a noi, c’è davvero qualcosa di nuovo nell’aria? Forse una parte della **Torino** che, incapace di cogliere le opportunità, adesso si fa avanti. “C’è voglia di partecipare!” annuncia, come se stesse svelando l’acqua calda. “Dobbiamo assicurarci che i quartieri periferici tornino ad essere cittadini a pieno titolo.” Già, perché abbiamo sempre saputo che le periferie sono solo luoghi dove non si fa niente finché qualcuno non lo decide per loro.

Una vecchia alleanza che un tempo sceglieva il sindaco ora si ritrova a navigare in acque nuove, dove sarà il sindaco a proporre il patto. “È un’iniziativa, e da lì si parte,” dice, quasi come se la presenza di idee solide non fosse fondamentale. Chi ha bisogno di contenuti quando hai l’intraprendenza?

Ma attenzione, c’è chi teme che questa nuova alleanza sia un po’ troppo affezionata a una certa parte politica. “Dipende da come verrà gestita,” ci avverte, a metà tra la speranza e il timore. Speriamo solo che non si trasformi in un festival della retorica, perché di quello ne abbiamo già abbastanza. Una visione industriale deve essere inclusiva, sia chiaro, non confinata a un oligopolio di idee.

Ma chi guida il tutto? “Il professore **Pietro Garibaldi**, conosciuto per le sue doti di ascolto,” assicura, cosa che, in fondo, dovrebbe essere ovvia. Sarebbe un peccato se l’ascolto non portasse a nulla di concreto. E mentre ci immaginiamo riunioni fruttifere, è giusto ricordare che l’idea di “discontinuità” sta diventando la parola d’ordine. Non dimentichiamo però che ogni cambiamento ha bisogno di sostanza.

Poi, la domanda cruciale: “Non è tutto una foglia di fico per una politica senza cambiamenti reali?” E qui ci lascia col fiato sospeso! “Dipende da noi,” risponde, sfidandoci alla prova dei fatti. Se la trasformiamo in uno strumento vero, avremo successo. Altrimenti, benvenuti nel “Castello della Retorica”.

Si parla anche di accuse al “radical chic” nel dibattito torinese, ma lui si disinteressa, preferendo posizionarsi come il paladino dell’industria che è fresca, innovativa, competitiva. Qualcuno si preoccupi di alzare il livello del dibattito, cosa rara in città, dove gli slogan sembrano i veri protagonisti. “Nessuno deve sentirsi escluso,” dice, come se il dibattito avesse mai veramente incluso qualcuno.

“Mancano temi importanti,” osserva con nonchalance, parlando di industria e gradi infrastrutture. “Forse è un limite,” ammette, ma chissà se questo sarà solo un inizio o un eterno circolo vizioso di promesse. Benvenuti a **Torino**, la città dove le chiacchiere volano, ma le azioni? Trovate tutto nel cassetto!

Oh, non è affatto un dramma che il libro non sia ancora stato scritto. Chi potrebbe mai pensare che manchi una visione industriale per una città come Torino? Certo, sarebbe troppo facile dire che serve una strategia ampia invece di una ristretta e esclusiva, giusto? Eppure, si capisce benissimo che Torino è un cocktail esplosivo di conoscenze e specializzazioni; sarebbe semplicemente scandaloso limitarci a celebrare solo una parte di essa, non credi? Sarebbe davvero un’opportunità fallita.

In un contesto simile, ci si aspetterebbe un rinnovato fervore imprenditoriale e innovativo, ma chi siamo noi per chiederlo? Ah, la dolce ironia della pianificazione industriale! Come se l’approccio inclusivo potesse davvero fare la differenza in un mondo dove le idee brillanti vengono sepolte sotto l’apatia e la mancanza di leadership. Chiediamoci: chi ha davvero il coraggio di abbracciare una visione che includa tutti, anziché una ristretta élite di esperti? Magari si potrebbe persino pensare che una progettazione collettiva possa portare benefici. Ma andiamo, facciamo finta di credere che questo non sia possibile!

Sembra chiaro che, a meno di una vera rivolta creativa, ci ritroveremo a girare in tondo, applaudendo le briciole di innovazione che ci vengono servite. Torino ha il potenziale di essere un faro di creatività e industria, eppure ci ostiniamo a rimanere prigionieri di schemi vecchi e superati. Bravo a chi ha il coraggio di sognare, ma c’è davvero bisogno di una rivoluzione industriale? È così difficile pensare che l’unione faccia la forza, o è solo un’altra contraddizione del nostro tempo?

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