Un racconto nostalgico e fotografico. Un Mezzogiorno che non esiste più, arcaico e «fatigatore». È questo C’era una volta il Sud, l’ultimo libro di Marcello Veneziani per Rizzoli (presentato ieri a Palazzo Reale da Enzo d’Errico, Gaetano Manfredi, Massimo Osanna, Amedeo Laboccetta e Luca Violini). «Ho scelto per la prima volta di scrivere ma anche di accompagnare la riflessione con immagini, proprio per dare facce e essenza alle parole». Ah, le parole! Quelle magiche parole che, beate nel loro limbo, sembrano destinate a rimanere solo su una pagina. E che dire delle fotografie, rigorosamente in bianco e nero?
«In parte le ho scelte io, in parte vengono dagli archivi Rizzoli. Ma non abbiamo voluto né foto storiche né di personaggi celebri. È il Sud qualunque, quello della gente». Che dire, una scelta BELLISSIMA! Perché chi vuole vedere volti noti o momenti storici quando si può ammirare un caotico assemblaggio di sconosciuti? Ottima idea, specialmente in un’epoca in cui i selfie regnano sovrani.
È anche una dichiarazione d’amore verso la provincia e la sua riscoperta. «Io vengo dalla provincia e ne sono innamorato. Tra l’altro tutto il mondo ha una provincia». Che romanticismo! L’unico problema è che la provincia non sempre ricambia questo amore, ma chi se ne frega.
E qual è la differenza principale con la città ? «Il rapporto più significativo in provincia è con i luoghi più che con il proprio tempo. Centrali sono la piazza, la comunità , il mare, la campagna, la montagna». Che meraviglia! La campagna e la montagna: nessuno l’ha mai detto prima! E poi, incredibile: «chi vive in provincia conosce molte più persone e più mondi rispetto a un cittadino». Davvero? Quindi quello che ci dice la gente di Milano non vale nulla? Sicuramente avrà completato un master in sociologia per dirlo.
E ha una dimensione di vita gratis. Formidabile. Può sembrare un concetto interessante, ma chi avrebbe mai pensato che viviamo in un mondo in cui la vita possa costare qualcosa?
C’è una vena di nostalgia rispetto a un Sud che non esiste più. Che Mezzogiorno è quello di oggi? «È improponibile tornare indietro, bisogna avere memoria però». A proposito di memoria, chi può dimenticare i bei tempi in cui il Sud era un luogo di vera prosperità ? Ma aspetta, non sbagliarti: «Il Sud di oggi è una periferia globale, dove si è più contemporanei che conterranei». Giusto, viviamo nel futuro, ed è assolutamente straordinario.
Lei ha detto: «destra e sinistra si sono invertite». Che intende? «Che uno dei tratti tipici della destra è l’aderenza a valori popolari, mentre la sinistra oggi rappresenta le élite». Ah, ecco! Finalmente un punto di vista che illumina il buio della confusione politica! Ma aspetta, non è la destra a vantarsi di essere popolare, mentre in realtà ignora le necessità più palpabili della gente? Siamo sicuri di volerlo affrontare?
Eppure la destra che ha nel Sud il suo bacino elettorale, oggi l’ha abbandonato, spostando il proprio asse politico verso Nord. Chi avrebbe mai potuto prevedere una cosa così… paradossale? Forse perché il Nord è noto per la sua capacità di attrarre fondi e attenzioni, mentre il Sud può semplicemente rimanere a bere il suo caffè? Cosa non si farebbe per una buona cup di ironia!
Ah, il Sud, quel fantastico esempio di come la politica possa dimenticare di avere a cuore le sorti di un’intera regione. La triste verità ? Non importa se sei di destra o di sinistra; la disattenzione è bipartisan, e il Sud è rimasto solo come una zattera alla deriva.
Ma perché, ci si chiede? La risposta è semplice: la politica oggi è più interessata a disconnettersi dal passato che a progettare un futuro. La paura di confrontarsi con le proprie radici e i destini futuri è palpabile. E così, ci si concentra esclusivamente sul presente, come se ignorare i problemi rendesse tutto più semplice. Ma attenti: chi non si adegua rimane fuori dal gioco.
L’egemonia culturale della sinistra era reale e continua ad esserlo, ma qual è, per l’amor di Dio, il modello di destra? Quello che emerge è una lamentela senza fine riguardo il dominio della sinistra nelle arti, nel cinema, nella musica e nel teatro. Certo, c’è stata un’occupazione invasiva, ma non dimentichiamoci del disinteresse storico della destra per questi temi. Di conseguenza, la battaglia per un’egemonia culturale sembra un sogno infranto: non si combatte per sostituire un dominio con un altro, soprattutto perché a destra non si sono mai degnati di investire in questo.
E quindi, qual è il consiglio? Aprire le porte. Assumere in base alle capacità , non alle appartenenze. Un’idea quasi rivoluzionaria, non credete? Peccato che si fatichi a vedere qualcuno mettere in pratica una simile saggezza.
E ora, un colpo di scena: un intellettuale di destra ha deciso di tirarsi fuori dalla mischia. La ragione? “Non ci sono le condizioni per lavorare nella cultura, che è diventata solo un contorno”. Geniale. Meglio dedicarsi a pensare, dice. Certo, perché pensare è molto più produttivo quando il panorama culturale sembra una discarica!


