Che geniale trovata: obbligare i supermercati a tagliare fino a 100 calorie dal carrello medio della spesa. Perché, ovviamente, il problema dell’obesità in Gran Bretagna sarà finalmente risolto proprio dalla drastica riduzione di snack dolci e salati venduti nei negozi. Una manovra da premio Nobel della sanità pubblica, che ci mette di fronte all’emergenza nazionale con la delicatezza di un bulldozer.
Il nuovo piano decennale del governo britannico vuole fare della lotta all’obesità la bandiera di un sistema sanitario che, diciamolo, ormai è stremato sotto il peso di 11 miliardi di sterline l’anno (quasi 13 miliardi di euro), una cifra che fa sembrare il bilancio per le ambulanze un miserabile spicciolo. Ergo, se non si bloccano questi costi impennati, l’NHS rischia il collasso totale. E cosa fa Wes Streeting, il ministro della Sanità? Lancia il suo “nuovo standard sui cibi sani” per “rendere la scelta salutare la scelta facile”. Frase meravigliosa, che suona quasi come “basta un gioco di prestigio per salvare la salute nazionale”.
Naturalmente, non si parla di vietare le patatine o gli snack zuccherosi, perché sarebbe troppo serio. No, più elegante: i supermercati avranno la “libertà” di decidere come raggiungere l’obiettivo. Potranno quindi nascondere le patatine in fondo agli scaffali, proporre promo sull’insipido cibo sano, o addirittura modificare le ricette dei cibi pronti – quei pranzi regali che ormai rappresentano il pasto più diffuso in famiglia. Avete capito bene: da oggi la salvezza della salute dipende dalla creatività marketing delle catene di distribuzione.
Obesità in crescita ma snack oscurati come per magia
Da quando? Dall’inizio degli anni ’90 l’obesità si è semplicemente raddoppiata. Chissà perché, sarà mica colpa di un universo parallelo dove la gente sceglie solo carote e aria fresca, giusto? Invece no: è proprio il modello alimentare moderno, quel mix di comodità, marketing aggressivo e stili di vita sedentari, che fa lievitare i numeri e i costi sanitari.
Quindi cosa fa il governo? Non investe nella formazione, nell’educazione alimentare, o nel miglioramento delle condizioni sociali che portano all’eccesso di peso. No, sceglie di mettere nelle mani dei supermercati la regia di un gioco di calorie, con scadenze e multe per chi non produce il risultato magico. È come dare in mano a delle catene di fast food la responsabilità di diminuire il consumo di junk food: un’idea di una trasparenza e coerenza che fa piangere lacrime amare.
In definitiva, il pubblico può stare tranquillo: ogni spesa sarà più “sana” perché così dicono i nuovi standard. Le calorie aumenteranno o diminuiranno a seconda di una strategia scelta dagli stessi supermercati, che potranno piazzare cereali integrali sotto le luci della ribalta mentre sgomberano le patatine verso il retroscena. Speriamo che sia la rivoluzione epocale che cambierà la faccia della sanità nel Regno Unito, o altrimenti potremmo ripetere il mantra: “Prevenire è meglio che curare”, finché non ci annoieremo.
Gran Bretagna, patria del fish and chips e del tè delle cinque, si fregia del “titolo” di terza più obesa d’Europa. Non è poco, se si considera che tra i grandi paesi è addirittura la regina indiscussa dell’eccesso ponderale. Un terzo della popolazione è obeso, un altro terzo è sovrappeso: praticamente un cinquanta per cento della nazione che sfida le scale e le insalate. E questa raffinata abbuffata è tra le principali cause di diabete, cancro e svariati guai al cuore, ma che bel quadro da cartolina!
Il governo di Londra, il cuore pulsante dello stile di vita salubre (o almeno ci prova), ha decretato che basta una riduzione di soli 50 calorie al giorno per liberare dal giogo dell’obesità ben due milioni di adulti e 340 mila bambini. Eh sì, un miracolo in miniatura. Naturalmente qualche sagace esperto ha alzato un sopracciglio polemico, facendo notare che la colpa non può essere solo di una calorie in più o in meno, ma anche e soprattutto della letargia totale, quell’attività fisica che si riduce spesso a spostarsi dal divano al frigorifero.
Ma non pensate che questa brillante strategia piaccia a tutti. Nel mondo scintillante della grande distribuzione qualcuno urla al dramma: le norme che vorrebbero imporre sono definite «draconiane» e rischierebbero di azzoppare i già miseri margini di profitto, costringendo a incrementi nei prezzi o a rallentamenti nell’apertura di nuovi templi dello shopping. Ovviamente, l’opposizione conservatrice non ha perso tempo a sfoderare la storica arma del “nanny State”, ovvero lo Stato-bambinaia che vuole metter becco persino nei carrelli della spesa. Secondo loro, i laburisti sono dei commedianti socialisti ignoranti che puntano ogni singolo snack settimanale della povera gente. Inoltre, curioso a dirsi, si sono domandati perché nelle repressioni siano finiti i supermercati ma nessuno ha alzato la voce contro take-away o pasticcerie. Una posizione ‘neutralmente selettiva’, dite?
E, sorpresa delle sorprese, le due grandi catene britanniche del commercio alimentare, Tesco e Sainsbury’s, hanno deciso di sostenere il governo. Sì, proprio loro. E la gente comune pare non disdegnare: il 60% dell’opinione pubblica spalleggia questa crociata contro le calorie indisciplinate. Nei mesi passati, il libro di Chris van Tulleken, «Ultra-processed people», ha spopolato nelle classifiche: un’accusa spietata agli alimenti ultra-processati e ai danni che procurano. Segno che forse, chissà, la pubblica opinione comincia a chiedere ai supermercati di impegnarsi un po’ di più per abbracciare uno stile di vita più sano. O almeno, a fingere di farlo.
Non potevano mancare le associazioni dei consumatori, che prontamente hanno dichiarato come «obiettivi alimentari obbligatori» spingeranno i distributori a facilitare la vita ai clienti, permettendo loro di scegliere diete più equilibrate e stili di vita meno letargici. Un grosso grazie a tutti per l’ovvietà del secolo.