L’Italia chiede l’Iva a Meta, X e LinkedIn mentre Trump avverte: è peggio dei dazi e merita ritorsioni

L’Italia chiede l’Iva a Meta, X e LinkedIn mentre Trump avverte: è peggio dei dazi e merita ritorsioni

La guerra dei dazi di Donald Trump contro alleanze commerciali, accusate dal presidente di mettere a rischio le imprese statunitensi attraverso barriere commerciali, si intreccia in modo intrigante con le richieste del fisco italiano nei confronti di Big Tech. Recentemente, a pochi giorni dal “Liberation Day” del 2 aprile, che segnerà l’entrata in vigore di tariffe reciproche nei confronti di vari Paesi dell’UE e non solo, l’Agenzia delle Entrate ha notificato a Meta e X – già sotto osservazione – e anche a LinkedIn avvisi di accertamento per la bellezza di 887, 12,5 e 140 milioni di euro di IVA non pagata, relativa agli anni dal 2015 al 2022. Il nuovo sviluppo, emerso grazie a Reuters, segue il rifiuto dei tre colossi di partecipare al contraddittorio preventivo. Un vero e proprio salto nel buio, non credete?

La Visione di Trump e le Loro Conseguenze

Stando alle Entrate e alla procura di Milano, che è saldamente in modalità penale, queste piattaforme avrebbero dovuto versare l’imposta sui servizi digitali forniti, dato che gli utenti, pur non pagando, “compensano” la loro fruizione offrendo i loro dati personali. Da qui l’imponibilità di queste operazioni quali “baratti”, secondo la normativa sulla IVA del 1972. Se tale interpretazione si dovesse confermare, si tratterebbe di una bomba a orologeria per il modello di business delle multinazionali americane che regalano servizi in cambio di profilazioni. L’IVA, essendo un’imposta comunitaria, ha fatto alzare il sopracciglio dell’amministrazione tributaria italiana, che ha coinvolto il comitato IVA della Commissione europea per una valutazione tecnica. E quello che sembra un semplice giochino di numeri potrebbe esplodere in faccia a chi è abituato a fare gli affari come meglio crede.

Quale Prospettiva? Giudizio o Mediazione?

Se le aziende indicate nell’accertamento decidessero di non partecipare e non presentare proposte di mediazione – scenario più che probabile, visto che mettono in discussione l’interpretazione delle Entrate – ci si avvierà verso un giudizio. In ballo ci sarà la necessità per i colossi tech di applicare l’IVA in tutti i 27 Paesi membri. D’altra parte, Reuters chiarisce che l’alternativa sarebbe una rinuncia alla richiesta fiscale per motivi tecnici o politici, come evitare di aggravare le già tesi relazioni con Washington. E ciò avviene mentre l’amministrazione statunitense risponde picche a qualsivoglia imposta messa in atto da Paesi terzi, definendola “estorsione” e cercando di utilizzare tali pretesti nel calcolo dei dazi reciproci imposti sulle importazioni. L’IVA, per lui, è un’autentica patata bollente: si lamenta che non offre vantaggi competitivi, eppure la definisce come un sussidio mascherato all’export, esattamente l’opposto di ciò che gli Stati dovrebbero trattare.

Il Gioco dei Dati: Un Ridicolo Circolo Vizioso

Non è un dettaglio da trascurare il fatto che tra le aziende che traggono profitto dai dati degli utenti per personalizzare la pubblicità ci siano proprio Meta, sotto i riflettori, e Elon Musk, di cui si parla da tempo come braccio destro di Trump. Poco fa, l’uomo più ricco del pianeta ha annunciato di aver fatto acquisire X da xAI, la sua startup focalizzata su intelligenza artificiale. Già adesso, a meno di un’opzione contraria espressamente scelta dall’utente, usa le informazioni di 600 milioni di iscritti all’ex Twitter per perfezionare il chatbot Grok, il quale potrebbe generare ulteriore merce monetizzabile. La circolarità di questo processo è poetica, se non fosse che, secondo le Entrate, quali attività esse sarebbero soggette a IVA. Come può un “servizio gratuito” trasformarsi in un’operazione tassabile? Chi lo sa… La logica qui sembra capovolta.

In conclusione, si chiude il cerchio su una questione ricca di contraddizioni e incoerenze. Le promesse di un’azione seria contro l’evasione fiscale si scontrano con le dinamiche di un mercato mondiale dove le tecnologie impongono regole sempre più sfuggenti. E mentre si discute di tariffe e imposte, la vera questione è: chi paga realmente il conto? Anzi, chi dovrebbe pagarlo, visto che i veri vantaggi sembrano sempre andare ai soliti noti? La soluzione? Forse una maggiore trasparenza e responsabilità da parte dei big player, ma chissà se le chiacchiere non resteranno tali… Un gran bel paradosso, lo ammettiamo.

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