«Abbiamo perso!», aveva scritto con una certa crudezza. Però, subito dopo, ha evidenziato a matita: «Non abbiamo vinto». E non contento, ha aggiunto sulla sua agenda anche un lapidario «Obiettivo non raggiunto». Insomma, ci aveva messo tutto l’impegno per farci capire che la sconfitta è realtà, ma quando si è trovato davanti ai microfoni, il segretario della Cgil non è riuscito a pronunciare quelle due semplici paroline: «abbiamo perso».
Perfettamente in stile mammolettiano, ha fatto il giro largo, esattamente come fece Pier Luigi Bersani dopo le elezioni politiche del febbraio 2013: «Chi non garantisce la governabilità in Italia non può dichiararsi vincitore, quindi noi, anche se primi, non abbiamo vinto». Un capolavoro di ambiguità e autocommiserazione da manuale.
E poi? Oh, nessun problema con gli altri sindacati: «Ognuno si assume le sue responsabilità». Tradotto: non è colpa mia, anzi, sbrighino loro a giustificarsi mentre io mi godo il siparietto finale. Il tutto mentre sorride beato nelle ampie sale del Centro Congressi della Cgil di via Frentani a Roma, come se questa sconfitta fosse solo un leggero contrattempo in una vita piena di successi.
Al centro dell’attenzione, però, c’è la micidiale tirata contro il centrodestra, che ha avuto la sfacciataggine di bollare lui – il paladino operaio – come il grande perdente: «Ho fatto quello che dovevo fare, con 14 milioni di persone che ti sostengono non mi sento né isolato né poco rappresentativo». Impressionante autostima, degna di un personaggio che si illude che la platea di simpatizzanti possa mascherare una sonora sconfitta referendaria.
Infine, la ciliegina sulla torta: i sogni di gloria politica. Per chi pensava a un suo ingresso trionfale negli ambiti corridoi del Parlamento, lui getta acqua gelata sul fuoco: «Io in politica? Mi attenderete invano». Cioè, niente carriera istituzionale; almeno questo ce lo risparmia.
E così, tra appunti sconsolati e sorrisi da vittima sacrificale, resta l’inconfondibile aroma di un sindacato che perde terreno ma parla come se avesse appena conquistato il mondo. Una gioia struggente, insomma.