La cosiddetta “missione” della delegazione italiana della Global Sumud Flotilla sembra non voler proprio arrendersi, al contrario di certe opinioni ben informate e amichevoli ai piani alti. Gli attivisti a bordo della flotta civile internazionale che sfida le acque dirette a Gaza, carichi di aiuti umanitari, ci tengono a far sapere che la loro impresa procede imperterrita.
Le malelingue di qualche media italiano avevano infatti sparso voci secondo cui la componente italiana si sarebbe dileguata, mollando barca. Nulla di più falso, stando a quanto assicurano gli stessi protagonisti. A bordo della flottiglia ci sarebbero circa 50 italiani, una quarantina dei quali hanno deciso di rimanere, mentre una piccola pattuglia ha scelto di tornarsene a casa per continuare il lavoro da terra — con tanto di portavoce Maria Elena Delia tra i defezionisti, come se ce ne fosse bisogno di chiarirlo.
Immaginatevi la situazione: barche sotto assedio non appena un drone militare passa sopra, minacce israeliane quotidiane che sono la normalità da settimane, e un livello di stress degno di un film horror psicologico. Poi arriva la ciliegina sulla torta, o meglio, il colpo basso dalla Farnesina, che ieri ha pensato bene di inviare un comunicato alle famiglie degli italiani in missione, avvertendo che – sorpresa sorpresa – non garantirà alcuna protezione in caso di attacco da parte di Israele. Davvero un esempio di supporto istituzionale impeccabile, non trovate? Un vero e proprio atto di sabotaggio, dicono loro.
E così, giustamente, fermarsi a terra per qualche tempo diventa una scelta legittima. Del resto, nelle democrazie, e non stiamo certo parlando di qualche ordinaria decisione aziendale, dovrebbe esistere quella che chiamano intelligenza emotiva collettiva. Quella cosa che serve a riconoscere divergenze, accoglierle e magari trasformarle in «energia positiva», roba da manuale di psicologia partecipativa, ma evidentemente rarissima nel mondo della politica e della diplomazia. Il sostegno a chi torna a casa è tanto forte quanto la carica di chi resta in barca, perché si sa che la missione non è una passeggiata.
In definitiva, la maggioranza dei partecipanti italiani ha deciso di andare avanti, con il cervello lucido e la consapevolezza che, piuttosto che una consegna di aiuti in senso stretto, questa missione riguarda ben altro.
Missione ridotta a pacco di aiuti? Beata ingenuitĂ
Gli attivisti non si stancano di ricordarlo: definire la Global Sumud Flotilla una spedizione fatta solo per consegnare degli aiuti umanitari è réduire il tutto a un fazioso e manipolatorio pretesto che serve, indovinate un po’, a boicottare la missione e a garantire che nessuno tocchi con un dito le politiche illegali di Israele. Una trovata particolarmente brillante, visto che questa flotta punta da anni il dito sul blocco navale di Gaza, considerato illegale fin dal 2007 – roba da manuale di diritto internazionale, ma evidentemente ignorata da chi si accontenta delle interpretazioni di comodo.
Non si parla solo degli aiuti ridotti a pacchetti da consegnare; la questione è ben piĂą profonda: assedio, occupazione coloniale e quel sottile dettaglio che qualcuno chiama genocidio, che ogni singolo giorno fa piangere due milioni di residenti nella Striscia. Ah, e mentre scriviamo, la mattina ha portato con sĂ© l’ennesima strage superflua e violenta: solo nelle ultime ore almeno 44 persone uccise, con 25 vittime a Gaza City e altre tre morte in attesa degli aiuti.
Insomma, ridurre questa crociata ad una semplice raccolta di pacchi umanitari è un po’ come definire la guerra un picnic: serve solo a nascondere la cruda realtà che la Global Sumud Flotilla vuole sfidare, con tutte le contraddizioni del caso e l’inevitabile rischio di finire nel mirino. Ma, si sa, il silenzio e le fake news possono essere ottimi alleati per chi fa comodo ignorare un problema.
Che sorpresa! Una delegazione tutta italiana decide di fare un giretto in mezzo al Mediterraneo, diretta verso Gaza. Così, giusto per movimentare la giornata. La Flotilla globale avanza spedita verso est, con tutti gli occhi puntati su di loro come se fosse l’evento dell’anno. Assistiamo quindi al solito teatrino umanitario, condito da un mix di retorica e esigenze geopolitiche, degno di uno spettacolo senza biglietto.
Nel mentre, la portavoce della delegazione italiana, Maria Elena Delia, si prende la briga di lodare il Ministro degli Esteri Tajani per la sua “disponibilità ” a proseguire i dialoghi con la Flotilla. Che sollievo! In un mondo in cui le parole sembrano equivalere a fatti concreti, ecco che si apparecchia una semplice “interlocuzione” come se fosse una soluzione in sé stessa.
Maria Elena auspica che si trovi “rapidamente una soluzione” – magari entro la fine dei tempi biblici – che contempli sia la “gravissima emergenza umanitaria” (bisognerebbe spiegare cosa s’intenda esattamente) sia la “necessità di ripristinare la legalità internazionale,” termine che suscita più un sorriso amaro che altro, considerando la situazione attuale. Ma del resto, se non fosse così, che gusto ci sarebbe?
Missione “non negoziabile”, ma complicata
Come ciliegina sulla torta, arriva la dichiarazione dell’attivista barese Tony La Piccirella, che definisce la missione una vera “missione non negoziabile.” Ma ovviamente, se vi aspettate che qualche cosa fili liscio, vi sbagliate di grosso. Tony si trova sulla barca Alma, dopo aver abbandonato la Family – non il nome di una nave simile a una soap opera, ma della barca dove si trovava il direttivo – che, guarda un po’, è guasta. Eh sì, nemmeno la flotta della solidarietà sfugge ai guasti tecnici di mezza stagione.
Ora si deve smistare un esercito di 30 persone con ruoli diversi su altre imbarcazioni, un classico rompicapo logico che nemmeno un puzzle da 1000 pezzi. Insomma, niente di più semplice, basterebbe solo riuscire a organizzare il caos e trovare “un equilibrio” tra uomini, donne e motori guasti. Cosa potrebbe andare storto?
Quanto agli incontri con gli “esponenti delle istituzioni,” la parola trattativa nemmeno si pronuncia: “La missione non è negoziabile,” precisa come se ci fosse bisogno di insistere. L’obiettivo, ovviamente, è aprire un canale di aiuti “permanente” e interrompere il blocco navale, scordandosi che dietro a queste parole si cela uno scenario internazionale che avrebbe bisogno di ben più che belle intenzioni e slogan da striscione.
La portavoce Delia è rientrata in patria per spiegare al popolo (chissà quanto ascolto avrà ) perché le tante proposte finora girate sono state gentilmente rifiutate. Visto che qualcuno ancora pensa siano un partito o un’associazione, finisce il passatempo: “Siamo un movimento,” argomenta con quell’aria di chi non ha bisogno di consensi, “e, tra l’altro, più grande della Global Sumud Flotilla.” E chissà , forse anche senza il direttivo la missione proseguirà . La coerenza è il futuro, si sa.
Frontex: “Scortare la Flotilla? No, grazie”
Come ciliegina sulla torta, arriva la dichiarazione di Frontex, l’agenzia europea di controllo delle frontiere. Quando 58 europarlamentari di varie sinistre e altri gruppi hanno chiesto un intervento urgente per scortare la Flotilla, la risposta è stata fin troppo pragmatica e, oserei dire, pragmatica quanto basta per spegnere ogni entusiasmo: Frontex non è un’organizzazione militare, ma civile. Ergo, scortare quella splendida operazione verso Gaza non rientra certo nei suoi compiti.
Il portavoce Krzysztof Borowski ha spiegato chiaramente che Frontex non ha la minima capacitĂ e, soprattutto, il mandato per fornire protezione o scorta di qualunque tipo. Insomma, una bella doccia fredda per chi si illudeva di trovare un alleato in piĂą per questa improbabile traversata.
Alla fine, tra guasti meccanici, equilibri da trovare e no assoluti da parte delle istituzioni europee, la Flotilla italiana sembra più una barca a remi nel mare tempestoso della politica internazionale, con un equipaggio smarrito e senza bussola. Ma almeno ci rincuora sapere che tutto, o quasi, è “non negoziabile.” Un mantra perfetto per chi vuole farsi notare senza rischiare troppo.



