La maggioranza si sveglia: adesso vogliono la sanatoria anche per il prossimo biennio!

La maggioranza si sveglia: adesso vogliono la sanatoria anche per il prossimo biennio!

Il ravvedimento, come dire, era una splendida opportunità per i contribuenti per sistemare le annualità fiscali dal 2018 al 2022. Ah, l’idea di versare un’imposta sostitutiva con aliquote che ballano tra il 10% e il 15% per l’Irpef, o il geniale 3,9% per l’Irap, era ormai allettante quanto una pubblicità per una dieta miracolosa. Ma aspetta, perché non dirti che sul reddito già dichiarato ci sarebbe stata una bellissima quota fissa in base al punteggio Isa? Sì, perché chi non ama un po’ di burocrazia con un pizzico di gioco d’azzardo? Se avevi un punteggio di 10, wow, solo un 5%! Se i tuoi risultati oscillavano tra 8 e 10, beh, sei affidabile, quindi un bel 10%! Oh, e se sei tra 6 e 8? Coraggio, ti aspetta un generoso 20%. Non è affascinante? La follia arriva al 50% per quelli che non sanno nemmeno cosa sia l’Isa. Bene, ora i nostri illustri deputati hanno deciso di spingersi oltre: vogliono estendere la sanatoria al 2023, malgrado l’ipotesi fosse stata scartata l’anno scorso perché, incredibilmente, si poteva ancora presentare dichiarazione.

L’obiettivo dichiarato? Rendere questa trovata ancora più irresistibile. Ma chi può dimenticare il clamoroso flop della precedente tornata? Solo 584mila partite Iva su ben 2,6 milioni di autonomi. I contribuenti, colpiti da un’improvvisa illuminazione, hanno realizzato che l’unico rischio di controlli era così basso da sembrare una barzelletta, tutto grazie alle risorse striminzite delle Entrate. La situazione si fa ancor più ridicola: infatti, il nuovo decreto abolisce il concordato per i forfettari. Ma chi l’ha mai detto che le misure fiscali dovessero avere senso? Adesso il governo deve decidere se accogliere la richiesta, come fece l’anno scorso, ma ci aspettiamo che le norme vengano modificate, perché, dopotutto, come possono rimanere inalterate in un paese come questo?

Senza dimenticare, però, che non ci si ferma mai a chiacchierare: ci si aspetta che il mancato versamento non costi la decadenza dal concordato, a patto che il malcapitato paghi entro 60 giorni dall’avviso bonario. Simpatico, no? Passiamo ora a una potenziale buona notizia. Il decreto, così come emerso dall’ultimo consiglio dei ministri, pone un limite alla flat tax. Fantastico! Un maxi regalo collegato a una logica spezzettata che cerca di invogliare le partite Iva. Presto ci si accorgerà che non si potrà optare per la tassa piatta, se l’incasso supera gli 85mila euro. In tal caso, ecco le normali aliquote Irpef e Ires da diverse griffe, rispettivamente del 43% e del 24%. Ah, la pura gioia di vedere un provvedimento che potrebbe effettivamente apportare effetti positivi su gettito, di cui, però, nessuno sembra volere fare previsioni ottimistiche.

Un’illuminazione greca, quella della deputata dem, Maria Cecilia Guerra, in commissione, ha messo a nudo il fatto che l’“asserita assenza di effetti finanziari negativi” legati al regime opzionale fosse più che altro un castello di carte. E chi non ama ammirare i castelli di carte, soprattutto quando si tratta di tasse? L’esperienza dimostra che ci si può sempre aspettare il meglio nella tana del coniglio chiamata burocrazia fiscale.

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