La Fed si diverte a tenere i tassi fermi e farci sospirare di fronte all’ovvio

La Fed si diverte a tenere i tassi fermi e farci sospirare di fronte all’ovvio

Sembrava tutto già scritto: la Federal Reserve pronta a lasciare i tassi fermi, ma come sempre, dietro la scena si nasconde un vero e proprio spettacolo degno di un thriller politico-economico.

Il presidente Donald Trump, con la sua proverbiale delicatezza, non ha perso occasione di mettere pressione su Jerome Powell, il capo della Fed, chiedendo a gran voce tagli ai tassi d’interesse – non uno, non due, ma addirittura tre punti, roba da far tremare ogni economista. Secondo il tycoon, Powell procederebbe troppo lentamente, e più volte lo ha invitato a farsi da parte con una discrezione meritevole di un reality show piuttosto che di un’economia seria.

In realtà non è la prima volta che Trump entra a gamba tesa sulle scelte della banca centrale: già durante il suo primo mandato aveva avuto contrasti con Powell, che lui stesso aveva nominato nel 2018, definendolo pubblicamente “un incapace” – complimenti per il fair play istituzionale.

Ma ecco che arriva la ciliegina sulla torta: secondo una legge del 1913, il presidente degli Stati Uniti può rimuovere i governatori della Fed solo per “giusta causa”. Tradotto: non perché non ti piacciono le loro politiche monetarie. Insomma, provare a trasformare la banca centrale in un giocattolo da manovrare a piacimento distruggerebbe quel tanto decantato concetto di indipendenza – peccato che a qualcuno sembri solo un dettaglio trascurabile.

Nel frattempo, Powell continua a fare il suo lavoro, mantenendo un silenzio diplomatico che più eloquente non si può. Se dovesse cedere ai capricci protezionisti della Casa Bianca e agire sui tassi in modo precipitoso, rischierebbe di far esplodere l’inflazione, già alle prese con scenari complicati su dazi e contromisure.

A giugno la Fed ha deciso di non toccare i tassi, lasciandoli fissi tra il 4,25% e il 4,50%, per la quarta volta consecutiva. La ragione? Attendere segnali più chiari sull’andamento dell’inflazione e sull’andamento dell’economia. Intanto, dall’altra parte dell’Atlantico, la Banca Centrale Europea ha scaldato i motori con ben otto ritocchi, portando il tasso di riferimento al 2,0%, salvo poi fermarsi nella riunione della scorsa settimana. Decisione che ha lasciato in eredità un silenzio pesante.

Erik Weisman, chief economist di MFS IM, ci regala una lettura tutt’altro che banale: domani, più che una conferenza, la riunione della Fed potrebbe trasformarsi in un campo di battaglia. Powell dovrà rispondere a domande incalzanti sul suo futuro – continuerà a guidare la Fed sotto l’ombra ingombrante di Trump o abbandonerà la nave? E cosa succederà con quei governatori della Fed che, non contenti, potrebbero opporsi a ulteriori rinvii nel taglio dei tassi?

Per non parlare del fatto che i funzionari della Fed dovranno impegnarsi al massimo per resistere alla tentazione di intervenire – un’impresa quasi eroica visto il contesto – mantenendo il range tassi tra il 4,25% e il 4,50%, per non scatenare nuovi terremoti sui mercati.

Vincent Reinhart, capo economista di BNY Investments, corre ai ripari freddeggiando la festa: “Per ora, prevediamo un taglio di 25 punti base solo alla riunione di dicembre e meno del 50% di probabilità che succeda prima”. Insomma, un meritato almeno per la Fed che, dopo aver rischiato di sbagliarsi sul vigore dell’economia e sull’inflazione, ammette (che novità!) qualche imprecisione lungo il percorso politico.

Filippo Diodovich, senior market strategist di IG Italia, scommette invece sul nulla di fatto: tassi fermi tra il 4,25% e il 4,50%. La colonna sonora della riunione? Non tanto la decisione ingessata, ma il balletto interno alla Fed e i segnali criptici che usciranno dalla conferenza stampa.

Diodovich non nasconde di osservare con curiosità il possibile “colpo di scena”: Michelle Bowman e Christopher Waller potrebbero piazzare un distinguo, votando contro il mantenimento degli attuali tassi e chiedendo subito un taglio. Roba da museo, perché i dissensi nel board della Fed sono quasi leggendari per la loro rarità, ma due governatori (non semplici presidenti regionali) contro sarebbe uno tsunami di tensioni interne.

Tra l’altro, Bowman e Waller sembrano più vicini alle idee del loro ormai ex presidente, Donald Trump, che voleva una Fed più morbida, sul modello allegro e rilassato della BCE. E non è tutto: i due hanno già fatto sentire la loro preoccupazione per il rallentamento della domanda interna, l’allentamento del mercato del lavoro e un’inflazione che, pur rimanendo oltre il target, è decisamente in fase calante. Insomma, sembrano quasi quelli che vogliono tagliare subito i tassi per evitare che la festa finisca troppo presto… o forse per cercare qualche applauso in più.

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