Klaas Knot della Banca d’Olanda scopre il “conflitto d’interessi” di Trump con le criptovalute e l’Europa fa finta di niente

Klaas Knot della Banca d’Olanda scopre il “conflitto d’interessi” di Trump con le criptovalute e l’Europa fa finta di niente

Dopo un lustro di onorato servizio, Klaas Knot si prepara a lasciare la presidenza sia della Banca d’Olanda che del Financial Stability Board, quella chiassosa congrega globale di regolatori finanziari che si diverte a giocare a fare i pompieri delle crisi. Da buon ambizioso, si dice che nel 2027 proverà a soffiare la poltrona a Christine Lagarde al timone della Banca Centrale Europea. Un ultimo saluto, dunque, rilasciato a pochi intimi media europei, tra cui – niente meno – il Corriere.

Gli si chiede se sia più pericoloso veder scivolare l’inflazione sotto al 2% piuttosto che sorpassare quel tanto amato obiettivo. La sua risposta? Un capolavoro di linguaggio diplomatico e soggettiva prudenza:

«Osservo un impatto dell’aumento dell’incertezza sull’attività economica legata alle questioni commerciali. Quindi gli imprenditori rimandano gli investimenti e i consumatori possono procrastinare gli acquisti di beni durevoli. Questo, badate bene, avrà un’influenza negativa sulla crescita […]. Per l’inflazione il quadro è più ambiguo, perché, nel breve periodo, penso che sia importante l’effetto negativo dell’incertezza sulla domanda. Chiaramente è un rischio al ribasso. Ma, attenzione! Ci sono rischi pure dall’altro lato: la possibile rottura delle catene globali del valore, l’ipotesi che l’Unione Europea imponga dazi ritorsivi e non sappiamo quale impatto avrà la spesa pubblica in più».

Insomma, il quadro è così nebuloso che potremmo trovarci con un’inflazione sotto controllo oppure no, ma guarda un po’, ogni scenario è motivato da chiacchiere di mercato, guerre commerciali e spese che si aggirano nel limbo dell’incertezza. Proprio il classico pronostico utile come una bussola in un temporale senza nord.

E come non menzionare la deliziosa soap opera americana? Donald Trump, l’angelo custode della serietà politica, ha recentemente lanciato epiteti e insulti contro Jay Powell, il presidente della Fed, sollevando l’ipotesi che il prossimo capo della banca centrale statunitense venga scelto in anticipo per minimizzare l’influenza di Powell stesso. Cosa ha da dire il nostro paladino europeo?

«L’indipendenza delle banche centrali non è importante perché a noi banchieri centrali piaccia fare i solitari o i ribelli senza meta, ma perché ha benefici per la società: tiene a bada le aspettative inflazionistiche e rende meno costoso tornare all’ordine quando l’inflazione si impenna. L’indipendenza non è un lusso per noi, ma un dovere verso il pubblico».

Amici europei, ecco la versione polish-free (lucidata dall’ipocrisia) dell’indipendenza delle banche centrali, che viene sempre in soccorso quando il gioco si fa duro e bisogna tirare fuori il sipario della serietà istituzionale. Peccato che dall’altro lato dell’oceano la sceneggiata sia più simile a un reality show senza regole.

Passando dal finanziario al futuristico, in mezzo a tutto questo bailamme globalizzato c’è la nuova ossessione della Casa Bianca per criptovalute e stablecoin, quelle valute digitali volanti che fanno impazzire regolatori e speculatori. La risposta del Vecchio Continente? Nulla di meno che l’Eur digital di plastica pregna di burocrazia, pronta a sostituire Tizio con Caio nell’universo delle monete virtuali. Un euro digitale made in Europe, cioè la promessa di un futuro più controllato, più digitale e, naturalmente, più noioso.

«È quella giusta?» chiedete. Beh, ovviamente sì, perché il nostro sistema di pagamenti è sempre stato quel meraviglioso pasticcio di mezzi pubblici e privati, dove il denaro pubblico ha sempre significato contante. Ora, poiché l’uso del contante sta svanendo nella maggior parte delle economie, l’euro digitale è l’elegante progresso delle banconote nell’era digitale. Oh, che sollievo! Finalmente potremo riconquistare un po’ di sovranità strategica nei pagamenti al dettaglio. Perché, come sappiamo, oggi la maggior parte del software dei pagamenti è gentilmente fornito da colossi americani, e con l’euro digitale potremmo sviluppare canali alternativi. Geniale, no?

Il dollaro americano e gli stablecoin: una minaccia dolcissima

Gli Stati Uniti, chiaramente preoccupati di perdere il controllo, stanno diligentemente cercando di espandere l’uso del dollaro in Europa mediante gli stablecoin, quei fantomatici “gettoni” digitali stabilizzati da titoli di Stato americani che tutti adorano discutere ma che nascondono una volatilità tutt’altro che rassicurante.

La preoccupazione? Secondo gli esperti, un quadro regolatorio solido è fondamentale per evitare che gli stablecoin diventino il giochetto poco trasparente per finanziare a piacere il debito pubblico americano. Perché, come sappiamo, nulla può andare storto quando si gioca con i mercati obbligazionari globali.

L’idea che un’ondata di richieste di rimborso possa trasformare gli stablecoin in un incidente diplomatico è ovviamente una novità da nulla per chi segue il tranquillo mondo finanziario senza un filo di ironia.

Stablecoin e conflitti d’interesse: Trump e Milei, i benefattori della finanza

E chi meglio di Donald Trump e il presidente argentino Javier Milei per sponsorizzare questa rivoluzione amichevole degli stablecoin? Ovviamente, nessun conflitto d’interessi qui! Attenzione, però, che un governo dovrebbe regolamentare, non entrare nell’arena a giocare con gli stessi strumenti finanziari di cui fa la guardia. Ma per fortuna, in Europa, non siamo così dilettanti da tollerare queste buffonate. Sarebbe un vero rischio per la stabilità finanziaria globale, noi compresi.

Quando gli è stato chiesto se Donald Trump si comporta da “paparino” irresponsabile, la risposta è stata prudente:

«Beh, c’è un conflitto di interessi che preferirei evitare.»

Banche italiane, tedesche e spagnole: il libero mercato o l’intervento statale? Scegliete voi

Nel calderone delle fusioni bancarie tra Germania, Italia e Spagna, il dibattito si infiamma: i governi stanno intervenendo per bloccare tali fusioni. E questo, cari lettori, sarebbe un problema? Certo che sì! La saggezza indica che il consolidamento bancario dovrebbe essere lasciato al libero mercato, magari con una supervisione centralizzata, risoluzione e un’assicurazione sui depositi di sicuro fascino burocratico.

Insomma, spetta ai banchieri decidere se vogliono fondersi dentro o fuori confine, purché non si creino mostri finanziari “troppo grandi per fallire”. Il che è un modo elegante per dire che dovrebbero evitare catastrofi su scala continentale. Ma il messaggio è chiaro: meno intervento statale, più mercato; salvo poi chiedere un’unione bancaria e un mercato dei capitali europeo. Qualche piccola contraddizione? Ma figurarsi.

E quando gli si fa notare che i governi italiani e spagnoli chiedono a gran voce un’unione bancaria, ma sono i primi a intralciare fusioni nei loro Paesi, la risposta è un corposo “ovviamente no”. Perché, d’altronde, l’Europa unita è un concetto adorabile quando non tocca rinunciare alle proprie piccole barriere nazionali.