Tra il 2023 e il 2060, la popolazione italiana in età lavorativa si ridurrà di un impressionante 34%. Tradotto in soldoni: per ogni persona che lavora, il carico di anziani a suo carico passerà da una proporzione piuttosto gestibile di 0,41 a un sempre più gravoso 0,76. In pratica, da una persona anziana ogni 2,4 lavoratori si arriverà a quasi una per ogni 1,3, un bel da farsi, non c’è che dire.
La riflessione arriva dall’Ocse nel suo Employment Outlook 2025, che fa notare anche che il rapporto tra occupati e popolazione si abbasserà di 5,1 punti percentuali nello stesso lasso di tempo. Insomma, meno gente lavora e probabilmente più gente starà a casa a godersi la pensione, ma con la spesa che aumenta.
Negli ultimi trent’anni, sempre secondo l’Ocse, è successo qualcosa di particolarmente ingiusto: i cosiddetti baby boomer hanno visto crescere i propri redditi molto più rapidamente rispetto ai giovani. Quindi, la disuguaglianza tra generazioni non solo non si è ridotta, ma rischia di diventare un problema strutturale. Nel dettaglio, in Italia i lavoratori più anziani (tra i 55 e i 64 anni) hanno aumentato i loro redditi più velocemente rispetto ai giovani (tra i 25 e i 34 anni). Nel 1995, i giovani lavoratori guadagnavano un briciolo in più, l’1% in più per l’esattezza, ma nel 2016 la situazione si è ribaltata drasticamente: gli anziani facevano il 13,8% in più rispetto ai più giovani, un’inarrestabile ascesa delle disuguaglianze in piena regola.
L’invecchiamento e il rallentamento della crescita economica
L’invecchiamento della popolazione non è solo una questione di età e numeri: rischia di bruciare fino al 40% del PIL pro capite nell’area Ocse entro il 2060. Tradotto in parole povere, se continuiamo a crescere alla velocità odierna – che già fa ridere – la crescita del PIL pro capite passerà dall’esilissimo 1% annuo registrato tra il 2006 e il 2019 a uno spettacolare 0,6% annuo in media dal 2024 al 2060. Non c’è da stupirsi: quasi tutti i Paesi Ocse, eccetto due fuoriclasse come Irlanda e Stati Uniti, vedranno ridimensionarsi la loro crescita pro capite. Un augurio tutt’altro che incoraggiante per il futuro dell’economia globale.
Il miracolo italiano del mercato del lavoro (nonostante tutto)
Incredibile ma vero, nonostante la crescita economica stia prendendo una piacevole direzione verso il rallentamento fin dalla fine del 2022, il mercato del lavoro italiano ha raggiunto risultati da record: occupazione ai massimi e disoccupazione ai minimi storici. A maggio 2025 il tasso di disoccupazione è sceso al 6,5%, appena 0,1 punti meno rispetto a maggio 2024 e addirittura 3,1 punti sotto il livello pre-pandemia. Peccato che resti ancora più alto rispetto alla media Ocse del 4,9%, ma si sa, nessuno è perfetto.
L’occupazione, sostiene l’Ocse, ha continuato a crescere anche nell’ultimo anno, seppur a ritmo rallentato, con un aumento dell’1,7% su base annua a maggio 2025. A trainare questa lenta ripresa sono stati soprattutto i lavoratori più anziani, come a confermare che in questo Paese si invecchia lavorando. Restano però alcune briciole poco rassicuranti: il tasso di occupazione italiano è ancora sensibilmente inferiore alla media Ocse (62,9% contro il 70,4% nel primo trimestre 2025) e l’inattività, pur in calo, si mantiene a livelli più alti rispetto ai Paesi comparabili.
Guardando avanti con la solita palla di cristallo traballante e piena di incertezze dovute alle turbolenze globali, il tasso di disoccupazione si dovrebbe mantenere stabile nel 2025 e 2026. L’occupazione totale è prevista in crescita, rispettivamente, dell’1,1% e dello 0,6%, numeri modesti che parlano di una ripresa simpatica ma tutt’altro che travolgente. Insomma, il futuro del lavoro in Italia si gioca su un fragile equilibrio, con meno persone nel mercato del lavoro e più anziani da sostenere: un copione già scritto, ma senza happy end garantito.



