Durante la tredicesima edizione della European Biotech Week, promossa da Assobiotec-Federchimica, Uniamo – la Federazione italiana malattie rare – ha organizzato un webinar dal titolo “Genetica e screening neonatali: quali opportunità?” Prosegue così la solita parata di buone intenzioni per mantenere viva l’attenzione di politici, istituzioni e stakeholder sanitari sul tanto sbandierato screening neonatale esteso (Sne), l’ultimo grido in fatto di diagnostica genetica.
Naturalmente, come ci tengono a spiegare con voce pacata ma determinata, lo screening genetico e le tecniche d’analisi più innovative promettono nuove opportunità prodigiose ma, ahimè, fanno anche venire qualche grattacapo etico degno dei migliori thriller della bioetica. Un vecchio classico.
Annalisa Scopinaro, presidente di Uniamo, non si trattiene e fissa il punto chiave:
“Serve una legge che aggiorni in modo rapido e sistematico il panel dello Sne: solo così si possono salvare davvero le vite dei bambini.”
Sì, proprio così. La mania nazionale da protocollo perfezionato continua. E siccome il caso della leucodistrofia metacromatica (Mld) è ormai l’esempio prenatalizio preferito, la signora Scopinaro ci ricorda che, nonostante esistano già terapie efficaci (qui la parte commovente del racconto), rischiamo di dover lasciare i bambini senza diagnosi precoce e, quindi, senza speranza.
Il programma di screening, da lode, è attivo in ogni punto nascita della penisola, ma – stranamente – serve un’aggiustatina burocratica in stile snellimento-anni-2000 per rendere tutto più veloce e meno pasticciato.
Se proprio la burocrazia dovesse rimanere una giungla impenetrabile, tanto vale buttarsi sui soliti progetti pilota; la classica pezza che salva la faccia e fa dire a tutti “vedete? facciamo qualcosa”.
La politica, come sempre, viene ricordata nel suo ruolo fondamentale – specie in vista della prossima legge di Bilancio – per mettere in campo non milioni da capogiro, ma qualche spicciolo ben indirizzato; probabilmente da qualche parte tra un caffè di troppo e un taglio alle super pensioni.
Il Centro di coordinamento dello Sne, ovvero il fulcro organizzativo istituito presso l’Istituto Superiore di Sanità, viene celebrato come “programmatico” e “di eccellenza europea”.
Risultati? Ottimi, secondo il bilancio di fine decennio (distillato in 8 anni, per la precisione), e questo grazie a una perfetta convivenza tra referenti regionali, attività allineate e un’adeguata dose di confronto tra territori.
Andrea Piccioli, direttore generale dell’ISS, non si stanca di gettare acqua sul fuoco della polemica con le sue cinque parole magiche: “sanità pubblica, equità, coerenza, competenza ed evidenza scientifica”. Concetti sacri che, curioso dettaglio, hanno guidato la gestione di un programma tutt’altro che semplice.
Non manca la solita constatazione amara: molto è stato fatto, ma molto resta da fare. Le priorità? Probabilmente le stesse da anni, ma almeno ora sono chiare. Ecco la solita delusione che fa capolino sotto la patina delle buone notizie.
Le porte girevoli della burocrazia e la corsa al progetto pilota
Che dire? L’intento è nobile e anche il gergo è da manuale: smussare gli angoli della macchina amministrativa per trasformare in realtà quella che, per qualche lustro, sembra più una chimera.
Però, nel frattempo, si moltiplicano progetti pilota, prove di laboratorio e iniziative spot, che piacciono tanto ai media perché fanno tanto “azione” senza scalfire davvero le montagne di carta che condizionano il nostro sistema sanitario.
Insomma, ben vengano le intenzioni, ma il rischio è sempre quello di rimandare con stile, di uscire da una burocrazia per entrarne in un’altra, e di trasformare un diritto fondamentale in una lunga attesa, ancor prima di riuscire a parlarne davvero.
Un peccato tutto italiano chiamato lentezza decisionale
Lo sappiamo tutti: la bellezza del nostro sistema sanitario è spesso immortalata nell’arte raffinata della lentezza e delle promesse mai adempiute. L’Sne non fa eccezione.
Al di là degli annunci e della retorica, la verità è che le carenze strutturali e i ritardi normativi mettono in ginocchio uno dei pochi programmi di screening neonatale veramente avanzati in Europa.
Serve una volontà politica che vada oltre i discorsi di circostanza e che sappia tradurre la scienza in legge. Perché, alla fine, non si tratta solo di una questione tecnica ma di rispettare, finalmente, il diritto alla salute dei più fragili: i neonati.
E purtroppo non basta ripetere slogan come “sanità pubblica” o “equità” in qualche convegno per smuovere davvero le cose.
Il rischio? Che l’ennesima buona intenzione si perda nella nebbia della burocrazia italiana e che, nel frattempo, i bambini aspettino – innocenti e invisibili – quel futuro che meriterebbero di vedere a occhi aperti.
Per chi non conoscesse il professor Giancarlo La Marca, lui è l’oracolo di Biochimica Clinica e Biologia Molecolare Clinica presso l’azienda ospedaliera universitaria Meyer di Firenze. Insomma, sa esattamente di cosa parla quando illustra la nuova frontiera toscana dello screening neonatale.
Non da meno, la lombarda Lombardia, sempre così “innovativa” e in competizione con la vicina Toscana, ha lanciato il suo progetto per includere la stessa patologia nello screening. Ovviamente però, con modalità diverse, perché la standardizzazione è un concetto troppo banale per il nostro bel Paese.
Stefano Benvenuti, Public Affairs Manager della Fondazione Telethon, ha ben descritto l’effetto “spread” della sensibilizzazione:
“Il progetto ha già raggiunto circa 28mila neonati sottoposti al test. Peccato però che ancora troppi punti nascita lombardi snobbino il progetto pilota, lasciando il rischio concreto che qualche neonato scivoli via da questo screening salvavita. Fondazione Telethon e i suoi partner ovviamente stanno facendo quello che possono per convincere tutti i punti nascita a partecipare, perché non si può lasciare nessuno fuori da questa opportunità.”
Nel frattempo, in Puglia, si è deciso di non stare a guardare e, da circa un anno, è attivo il programma “Genoma Puglia”. Una cosa sofisticata, tipo analisi genetica su 388 geni, prelevati da un filtrino di sangue con cui si cerca di scovare circa 500 malattie rare. Fantastico, no? L’obiettivo? Evidentemente, prevenire o quanto meno individuare tempestivamente qualche patologia nascosta.
Mattia Gentile, direttore dell’UOC Genetica Medica dell’ospedale Di Venere di Bari e il coordinatore di questo gioiello pugliese, spiega che la tecnologia per lo screening genomico non è più un miraggio. E ascoltate bene questo passaggio del presidente della Società Italiana di Genetica Umana (Sigu), Paolo Gasparini:
“Le tecnologie sono disponibili su scala nazionale e i costi non sono più economici o insostenibili rispetto all’attuale serie di screening neonatali. Inoltre si aprono opportunità terapeutiche e riabilitative per moltissime malattie, non solo quelle metaboliche. Insomma, non dovremmo impegnarci almeno un pochino?”
Ovviamente non poteva mancare il tocco filosofico-etico di turno, perché tutto quel DNA smanettato e decifrato presuppone una gran bella responsabilità. E a ricordarcelo è la professoressa Silvia Ceruti, del Centro di ricerca in etica clinica dell’Università degli Studi dell’Insubria, che, durante un webinar dedicato, ha puntualizzato tutta la complessità morale dietro questi “inquietanti” progressi tecnologici.
A chiudere il discorso, la saggezza di Simona Bellagambi, vicepresidente di Eurordis e delegata estero di Uniamo, che ha ricordato la necessità di ponderare il “come” e il “perché” di tutte queste nuove tecniche e i loro possibili effetti — diciamo pure “impatti” — sulle famiglie, che certo non rêvono di svegliarsi con un carico aggiuntivo di ansie da genetica.
Bellagambi sottolinea saggiamente che:
“Lo screening neonatale oggi è un esame mirato, che può diagnosticare solo patologie per cui esistono già terapie efficaci e che, se individuate presto, possono eliminare o ridurre drasticamente gli effetti dannosi della malattia. Con le nuove tecniche genomiche, si apre forse la necessità di un’evoluzione del sistema, ma attenzione: non è un semplice test da spuntare, è un percorso che richiede un supporto serio e integrato, una rete di centri competenti pronta ad accogliere e trattare i piccoli pazienti.”
In pratica, oltre a compilare nuove liste di malattie genetiche, il sistema sanitario dovrà sorbirsi il peso di una nuova rete assistenziale, che qualcuno forse sperava restasse nascosta dietro una pagina di delibere regionali buttate giù a caso.
Quel che è certo, concludono i nostri illustri esperti, è che questo mix di screening biochimico tradizionale e nuove metodiche genomiche, non alternative ma complementari, potrebbe finalmente consentire diagnosi tempestive per un numero sempre più ampio di malattie rare, portando a quel tanto sospirato (e fantomatico) miglioramento della salute neonatale italiana.
Per chi volesse incantarsi con queste meraviglie della genetica e della retorica medica, il webinar intitolato “Genetica e screening neonatali, quali opportunità?” è allegro e disponibile gratuitamente. Una chicca da non perdere per addetti ai lavori e per chi ama vedere come si mescolano progresso, burocrazia e buona dose di autocelebrazione nazionale.



