Francesco Paolo Sisto, viceministro della giustizia, commenta con una calma olimpica l’imprevista presa di posizione dell’ex senatore Giovanni Pellegrino, un pezzo da novanta della sinistra, che ha osato dichiararsi favorevole alla famigerata separazione delle carriere nella magistratura. Sorprendente? Non proprio, almeno per il nostro Sisto, che ci ricorda con una patina di nostalgia storica nomi intramontabili come Matteotti, Calamandrei, Terracini e, per dovere di cronaca, anche il compianto Giovanni Falcone, tutti firmatari non ufficiali di questo “orientamento” rosso. Altro che scoop!
Il viceministro tiene a sottolineare che nel 2019 persino la mozione Martina, firmata da pezzi grossi del Partito Democratico come Del Rio, Malpezzi e Serracchiani, prevedeva tale riforma. Chi ti dice che la politica sia lineare, no? Sarebbe persino prevista dall’articolo 111 della Costituzione: il giudice dovrebbe essere “terzo ed imparziale”, indipendente da qualunque appartenenza. Manco fosse un semplice dettaglio! In ogni caso, il nostro ottimista viceministro sembra convinto che il prossimo referendum certificherà “questa universalità di consensi”. Parafrasando: tutti, ma proprio tutti d’accordo, tranne ovviamente quelli che sono contro. Peccato che a questi ultimi siano rimaste solo barricate e proteste senza mezzi termini.
Per i meno attenti, si segnala che una simile proposta ha fatto capolino pure nella vecchia bicamerale presieduta da D’Alema – altro che novità di pacca. Ma dopo tutto, come al solito, la sinistra si è montata la testa e ha fatto dietrofront all’istante.
L’inarrestabile opposizione del No
Ecco la parte davvero divertente: oggi, l’opposizione “tradizionale” del PD e del M5S è passata da piattaforma politica a macchina da guerra del “No”, senza nemmeno concedere il lusso di qualche mediazione o un briciolo di raziocinio. Immaginate un’opposizione così ferrea che fa sembrare gli intellettuali del passato dei dilettanti allo sbaraglio.
Sisto non si scompone e va dritto al punto: la riforma costituzionale in cantiere avrebbe due soli obiettivi, tanto nobili quanto scontati, almeno secondo lui. Primo, proteggere i cittadini da un sistema giustizia che pare più una giungla; secondo, liberare la magistratura da quel fastidioso giogo delle correnti interne, spesso più energico di una riunione condominiale infuocata.
Chiunque abbia anche solo sfiorato l’idea che questa riforma si voglia trasformare in una caccia alle streghe contro i magistrati può tranquillamente ricredersi: nessun “intento punitivo”, giura Sisto. Chi sostiene il contrario starebbe solo costruendo un castello di sabbia contro la realtà, una contrapposizione “che non sta né in cielo né in terra” – espressione che meriterebbe l’Oscar per la metafora più efficace.
La vera posta in gioco è qualcosa di semplice e quasi banale: restituire ai cittadini la fiducia in una giustizia che, almeno sulla carta, dovrebbe essere equa e imparziale. Soprattutto, stabilire che chi giudica non sia parente né amico né cognato di chi difende o accusa. Forse un’idea rivoluzionaria in questo paese sempre in bilico tra favoritismi e “rapporti speciali”.
Sisto si lancia in una perla che merita di essere incorniciata: “Vi siete mai chiesti se un arbitro possa provenire dalla stessa città della squadra che arbitra?” Già, perché nella metafora giuridica, il giudice/organo arbitrale dovrebbe essere questo arbitro imparziale, non certo un tifoso sfegatato con i colori della squadra. Ma chi ci vuole far credere che finora è stato così? Misteri d’Italia.


