I ricordi scolastici? Indelebili, ovviamente. Amicizie nate tra banchi che si dieselano fino alla vecchiaia. Momenti di sublime disagio, lezioni di vita e crescita personale. Paura delle novità in arrivo, ma anche un cocktail di speranze e aspettative. In poche parole, una vera e propria “tempesta di sentimenti” capace di stravolgere l’esistenza. Anche per gli scrittori, il fatidico primo giorno di scuola non era mica una passeggiata: un duello con l’incognito da affrontare a testa alta. Nella settimana in cui milioni di giovani si apprestano a tornare in aula, abbiamo chiesto a qualche autore di raccontare cosa significava per loro quel fatidico giorno o i momenti più significativi del loro percorso formativo. Varia la risposta: Maurizio de Giovanni ci porta alla scoperta di una “tempesta di emozioni” vissuta il giorno in cui, nel suo quarto ginnasio, la scuola maschile aprì le porte alle prime ragazze; mentre Matteo Bussola rivive il mix perfetto di paura e brivido del debutto al liceo scientifico. Per la decana Dacia Maraini, invece, la vera scuola fu la voce incessante della madre.
Maurizio de Giovanni scava a fondo nella sua memoria e ci racconta: “Ho passato gli anni scolastici con i gesuiti, dalla prima elementare fino all’esame di maturità. Una scuola rigorosamente maschile, almeno fino al quarto ginnasio, quando – sorpresa! – vennero ammesse anche le ragazze. Correva il lontano 1971, un’epoca in cui la cosiddetta liberazione dei costumi era ancora un miraggio, soprattutto nelle alte mura dei gesuiti. Le ragazze? Qualcosa di misterioso, quasi alieno. Quel primo giorno fu un vero spartiacque: vedere arrivare quelle allieve ci procurava sentimenti contrastanti, un’ondata selvaggia di attrazione, repulsione, ostilità e curiosità. Quella fu un’alba epocale per me: cambiò tutto, dal personale al sociale, dal culturale al… psicologico. Iniziò un’inarrestabile sfida con loro, che avevano – e hanno tuttora – un passo decisamente avanti. Erano bravissime, e come spesso accade, interessate ai ragazzi più grandi. Noi? Si figuri: mortificati, anzi ignorati totalmente. A distanza di oltre cinquant’anni, ammetto che quel giorno mi ha lasciato qualche trauma.”, sferza l’ironia de Giovanni.
Matteo Bussola, fresco di pubblicazione con Il talento della rondine, ricorda il suo primo giorno al liceo scientifico come un vortice di emozioni, fra timore e curiosità. Scrittore attento ai temi scottanti dell’adolescenza contemporanea – dalla fragilità ai desideri, dall’educazione sentimentale al benessere mentale – confessa: “Il primo giorno al liceo scientifico mi ha fatto vivere quella strana miscela di paura accompagnata da un pizzico di eccitazione. Paura perché quella scuola non era affatto il mio sogno: avrei voluto percorrere strade artistiche, ma eccomi invece fra formule e numeri…”
Insomma, l’inizio di un percorso che dimostra come la scuola non sia mai una facile passeggiata e che, a volte, fa sentire ognuno straniero nella propria pelle, sospeso tra ciò che si vorrebbe e ciò che ci si ritrova ad affrontare. La realtà, si sa, ha un gusto tutto suo, tutt’altro che dolce.
L’ironia nella prima esperienza scolastica
Non si può non ridere – anche se amaramente – pensando alla “tempesta di sentimenti” evocata da de Giovanni. Quel caos emotivo non è soltanto una memoria personale, ma un emblematico quadro dell’Italia negli anni ’70, quando la rivoluzione culturale sembrava più un tardivo traffico di carrozze che un treno veloce. La prima volta con le ragazze in classe: un trauma che si trascina per mezzo secolo, una commedia dell’assurdo sullo sfondo di un’educazione rigida e tradizionalista. Come non apprezzare il suo cinismo sottile? Le donne “misteriose” e “quasi aliene” in una scuola di gesuiti; un po’ come se la Terra fosse stata invasa da marziani dotati di unicorno e di libri di testo.
Nel frattempo, Bussola ci regala invece quella miscela di timore reverenziale e attesa nervosa, tipica di chi si trova catapultato in un luogo che sembra non appartenere al proprio mondo. Le scuole, si potrebbe dire, sono quasi sempre dei campi di battaglia interiori dove si mediano sogni, paure e compromessi sociali. Il liceo scientifico invece di un liceo artistico? Un destino beffardo per chi vorrebbe esprimersi con colori e forme invece che con numeri e formule. È la vita, bellezza: un giro sulle montagne russe dove la paura si mescola all’eccitazione, il desiderio di scappare all’ignoto e di conquistarne il mistero.
E poi c’è la voce più antica della nostra narrativa: Dacia Maraini, che ha trasformato la sua madre nella prima “scuola” della sua esistenza. Perché in fondo, le vere lezioni non arrivano solo dai banchi o dai manuali, ma da chi sta accanto e tenta di guidarti, anche – e soprattutto – con la propria voce, parole sussurrate o gridate nel tumulto della vita. Un altro tipo di “tempesta”, forse più profonda, fatta di legami indissolubili e memorie che pesano come macigni.
Quando la scuola diventa uno specchio della società
L’ingresso delle ragazze nelle scuole storicamente maschili non è solo un aneddoto personale ma un tragico (e a tratti comico) specchio della società italiana di quegli anni. Fare i conti con tradizioni pesantemente radicate, con ruoli di genere da manuale d’epoca, e con suspense da film drammatico, tra ufficialità gesuitica e ribellioni ancora a bassa voce. Le “prime ragazze” non erano soltanto compagne di classe, ma quasi invasori di un mondo segretamente patriarcale, con lo sguardo vigile di un “ragazzo di Gesuiti” che ancora non sapeva bene cosa farsene di tutto questo.
Non mancano, poi, gli strascichi culturali e psicologici di questi eventi. La cosiddetta “competizione” tra maschi e femmine è sempre stata un circo mediatico in miniatura, tra orgoglio ferito e ammirazione silenziosa. Nessuno si azzardi a dire che la scuola sia un luogo di puro sapere: è piuttosto un’arena che mette a nudo insicurezze, incrollabili convinzioni e pregiudizi sociali. Quelle ragazze erano brillanti, ambiziose e, naturalmente, esteticamente irresistibili per i ragazzi più grandi. L’effetto? I maschi giustamente “morti”, come racconta de Giovanni, un trauma infantile che si trascina con orgoglio ironico nel tempo.
Nel frattempo, l’educazione sentimentale e psicologica discutibile di chi si trovava tra i banchi cresce come un’ombra lunga e pericolosa. Quell’impatto tra aspettative individuali e realtà sociale ha formato, e continua a formare, intere generazioni di giovani più o meno consapevoli delle dinamiche sottese al gioco dei ruoli e delle relazioni umane. Aggiungiamoci qualche tavola imbandita di formule matematiche che non si potevano scegliere e avremo il quadro quasi completo di un’esperienza scolastica così universale quanto schizofrenica.
In definitiva, questi piccoli aneddoti diventano un invito a riflettere sulla scuola come microcosmo impietoso della società in mutamento: là dove il cambiamento arriva con lentezza esasperante e dove ogni passo avanti sembra una rincorsa faticosa tra passato e presente. Un vero e proprio spettacolo tragicomico da cui, purtroppo, nessuno sembra potersi sottrarre.
Che gioia iniziare la scuola, quella magica esperienza in cui tutto è possibile, tranne forse seguire i propri desideri. Così racconta Niccolò Ammanniti, che ricorda il suo primo giorno liceale a Roma con un misto di emozione e spaesamento tipico di un ragazzo di provincia catapultato nella grande città. Non uno dei suoi sogni, ma indovinate un po’? Proprio quella strada meno auspicata l’ha aiutato, stranamente, a diventare sé stesso. Il paradosso? È quando affronti ciò che non avevi scelto che impari davvero a crescere. Mah, chissà se tutti i genitori lo sanno.
Non ci sorprende allora che la scuola sia una palestra di vita, dove anche le amicizie – quelle vere, resistenti alle mode e ai social – si formino tra banchi sgangherati e campanelli stonati. Lo testimonia la scrittrice Nadia Terranova, finalista al premio Strega con ‘Quello che so di te’, che sprizza romanticismo scolastico da tutti i pori. A 14 anni, seduta accanto a una ragazzina dai capelli rossi, scopre di aver condiviso un’amicizia da… piccole, con genitori già amici. Eh sì, il passato che incontra il presente e decide di sedersi proprio lì, vicino a te. Una Juventus di amicizie, che passa da ginnasio a liceo e oltre, come se il liceo fosse stato un reality show dell’affetto e del destino.
Ma non crediate che la scuola sia sempre al centro di piacevoli riunioni da vecchi compagni. Per Dacia Maraini è stato piuttosto un percorso formativo da film drammatico: sette anni, Giappone, campo di concentramento e niente libri. La sua scuola era la voce della mamma che raccontava storia e geografia, mentre papà faceva lezione di matematica. Insomma, la famiglia versione “università di sopravvivenza”. I genitori, “persone-libro”, come li definisce l’autrice, le hanno impartito lezioni di Platone e Aristotele che, immagino, le avranno fatto dimenticare la fame per qualche attimo. E se qualcuno pensava che il Risorgimento fosse roba noiosa, Maraini e il suo collegio laico fiorentino se ne sono innamorati per davvero, perché la scuola, si sa, oltre a formare, può trasformarti in un appassionato nazionalista da manuale. Ma che meraviglia, vero?
Se la Maraini ha imparato a convivere con la fame e la filosofia, il premio Strega Nicola Lagioia ha avuto la fortuna di incontrare una professoressa visionaria che ha deciso, come per magia, di abbandonare i programmi ministeriali e far leggere alla classe “The Waste Land” di Thomas S. Eliot. Ignoranza totale, dice lui: temi incomprensibili, ma un contatto col “grande” che va oltre ogni noioso programma scolastico. Vero colpo di scena: una docente che tratta studenti della media borghesia come se fossero i rampolli di Eton. Chapeau, davvero.
Infine, un ricordo da tenerezza tenera, quasi romantica, da parte di Stefania Auci, la scrittrice siciliana di punta con la saga dei Florio. La sua cartella rossa delle elementari, che oggi parrebbe un cimelio d’altri tempi, era il suo totem rassicurante, sopravvissuto con lei fino alla quinta elementare. Mentre i ragazzi di oggi sfilano con zaini ipertecnologici e colorati, lei si accompagna con un simbolo di continuità quasi sacra. Ovviamente, gli anni scolastici non sono stati una passeggiata ma una sfida continua, perché la competitività a quanto pare non tramonta nemmeno sotto i portici delle scuole elementari. E, ovviamente, le amicizie strette allora resistono ancora, malgrado il tempo e le distanze. I veri colossi dell’educazione sentimentale.
Qualche riflessione amara tra ricordi e lezioni di vita
Se la scuola può essere un incubo preferito o un’autentica palestra dove si forgiano caratteri, si scopre anche che spesso è una tessitura complicata di incontri, rinunce e strane alchimie. Mentre i programmi ministeriali dettano la danza didattica, accanto si muovono le passioni, i casi della vita, le amicizie ritrovate o forgiate nelle difficoltà più varie. Dal campo di prigionia giapponese al liceo romano, dall’epopea familiare alle avanguardie letterarie: dalla scuola esce di tutto, ma soprattutto esce un’affascinante contraddizione. Ecco, magari da letto insieme anche un po’ di ironia feroce su questa meravigliosa giostra chiamata “educazione”.