Il Ponte sullo Stretto di Messina, quell’imponente esempio di iper-ottimismo infrastrutturale alla trentasettesima replica, ha appena ricevuto un’altra entusiastica grattatina sulla schiena da parte della Corte dei Conti: il famoso organo ha deciso di negare il visto di legittimità alla delibera Cipess di agosto.
Niente panico, però: non si tratta di un secco “no” da brivido, quanto piuttosto di una pausa contemplativa degna delle più complesse crisi di coppia. Insomma, niente rottura definitiva, ma un “vediamo più avanti”.
Il governo potrà comunque procedere, basta che faccia un piccolo salto al Consiglio dei Ministri per un votino di routine e via, tutto risolto, giusto? Forse sarebbe troppo semplice. Nel frattempo, mentre i falchi del centrodestra scagliamo accuse di ogni tipo contro il Presidente Guido Carlino e l’assessora Carmela Mirabella, la magistratura contabile spiega che non è affatto una questione personale, ma semplicemente di quelle noiose ma sacrosante regole europee che tutti amano ignorare allegramente.
Le motivazioni? Un mix tra il giuridico e il ridicolo strutturale
La Corte dei Conti ha rifiutato di registrare la delibera Cipess n. 41/2025, il documento che avrebbe dovuto sbloccare definitivamente il progetto del ponte. La motivazione? “Vogliamo vederla più convincente, torna tra trenta giorni.” Anzi, suona quasi come un gentile invito a presentare una ricetta più digeribile.
I punti dolenti sono stati descritti come una lista della spesa di quelle che nemmeno al supermercato di quartiere troviamo così variegate:
- Coperture economiche ballerine, che sembrano più una scommessa piuttosto che un piano finanziario;
- Previsioni di traffico fantasiose, dietro cui si cela più un’aspirazione da visionari che un dato concreto;
- Normative ambientali ignorate alla grande, nel classico stile “fai finta che non ci siano e poi vedremo”;
- Costi lievitati oltre il +50%, perché scommetto che nessuno si aspettava che un ponte così lungo sarebbe costato poco;
- E la domanda di rito da quiz a trabocchetto: “Il Cipess aveva davvero il potere di approvare tutto questo senza fare un salto in tribunale?”
Dieci punti critici su cui riflettere, che suonano quasi come un canto del cigno burocratico prima di una certa, immancabile fine.
Webuild, eroi o complici dell’assurdo?
Al centro dell’attenzione c’è naturalmente il contratto con Webuild, l’epopea industriale nata dalla fusione tra Salini e Impregilo. Questa compagnia è il capitano del consorzio Eurolink, affiancata da spagnoli, giapponesi – perché un ponte così epico non poteva che essere un affare globale – e altri sodali italiani pronti a cimentarsi nell’impresa.
Peccato che, però, ci sia un fastidioso dettaglio chiamato leggi europee, quelle noiose regole che un po’ frenano l’entusiasmo degli avventurieri del cemento.
Ecco la chicca: il contratto con Webuild è stato giudicato incompatibile con il diritto UE. Sembra quasi che qualcuno abbia battuto la testa saltando passaggi fondamentali, tipo il parere obbligatorio del Consiglio superiore dei lavori pubblici, che non si riunisce per questo progetto almeno dal tempo in cui si navigava su Internet a 56k. Per gli amanti della nostalgia: stiamo parlando del 1997, sì, quella roba che oggi chiameremmo “il medioevo digitale”.



