Il piano audace di Trump: dall’imposizione dei dazi all’intesa di Mar-a-Lago per un nuovo equilibro nel commercio globale

Il piano audace di Trump: dall’imposizione dei dazi all’intesa di Mar-a-Lago per un nuovo equilibro nel commercio globale

Un nuovo ordine commerciale e finanziario globale è il vero obiettivo dietro l’annuncio di Donald Trump sui dazi nei confronti di partner commerciali. Ma chi avrebbe mai immaginato che qualcosa di così ambizioso si celasse dietro a misure apparentemente punitive? Stephen Miran, un economista che ha abbracciato l’arte della manipolazione economica con una laurea ad Harvard, ha delineato questo piano nel suo documento del novembre scorso: “A User’s Guide to Restructuring the Global Trading System”. E ora si trova a guidare il Consiglio dei consulenti economici della Casa Bianca. Chi lo critica, ci tiene a sottolineare che il suo saggio non è privo di errori e contraddizioni, ma chi se ne preoccupa? Meglio ignorare le piccole incongruenze quando c’è un sogno americano da inseguire.

Un accordo globale impossibile?

Come se non bastasse, Miran ha una visione chiara sul futuro, sostenendo che Washington mira a ridurre il valore del dollaro, colpevole di rendere meno competitivi i prodotti statunitensi, e a prolungare la vita del debito pubblico, stabilizzando i tassi a spese di detentori stranieri. Ma davvero si può sperare di convincere i partner commerciali attraverso “il bastone delle tariffe” e “la carota della difesa”? Immaginatevi il dialogo: “Caro Paese X, vorresti smettere di farci concorrenza? Ti offriamo protezione… a patto che non ci ostacoli.” Semplicemente geniale, no?

Miran, il guru controcorrente

Da questo si potrebbe dedurre che il dottor Miran ha un piano ben congegnato. Eppure, non è passato inosservato che nella sua guida si faccia riferimento ad un sistema commerciale e finanziario internazionale che, pare, ha fallito miseramente. Ecco una contraddizione alquanto insidiosa: come si può pensare di ristrutturare un sistema che è già messo in discussione mentre si eseguono operazioni sull’acqua stagnante?

Il dollaro che uccide l’export

Secondo Miran, la radice del malcontento nell’industria statunitense è la sopravvalutazione del dollaro, il che rende l’export più costoso. Ma non è questo un po’ come dire che le auto non funzionano perché i guidatori non sanno girare la chiave? La verità è che il deficit commerciale deriva da un eccesso di domanda di dollari, una spiegazione che, come ha messo in evidenza il Nobel Paul Krugman, è fin troppo semplicistica. Sorprendentemente, prima della crisi degli anni Settanta, gli USA registravano surplus commerciali nonostante il dollaro mantenesse il ruolo di valuta di riserva. É un po’ come se Miran avesse preso una scorciatoia per evitare di affrontare la complessità del mercato globale.

Dazi e promesse non mantenute

Per affrontare la questione, secondo lui, è necessario un mix di rimedi, ovvero l’adozione di dazi, con la speranza che questa misura risolva i problemi. Ma forse è né più né meno che un triste déjà vu di politiche fallimentari di altri tempi. Come si fa a pensare che aumentare il prezzo di beni importati risolva un problema sistemico? È come voler spegnere un incendio con benzina. E il messaggio è chiaro: le promesse di rivitalizzazione dell’industria potrebbero rimanere un miraggio. Le contraddizioni si accumulano e la realtà sembra sempre più distante dalle belle intenzioni delle politiche economiche.

Possibili soluzioni? Insomma, si potrebbe suggerire un approccio diverso, magari imparando da modelli di paesi che non si sono arenati nelle sabbie mobili dell’incoerenza. Ma chi ha tempo per le soluzioni quando la strada del populismo appare così seducente? L’unica cosa certa è che dobbiamo aspettare e vedere se queste strategie si trasformeranno in azioni concrete, oppure rimarranno semplici «vademecum» ignorati nel corso del tempo. Un altro capitolo da aggiungere a una lunga lista di piani non attuati — perché in fondo, il sogno americano deve continuare a vivere, anche se la realtà è ben diversa.

In un gioco di dazi che sembra più un balletto tragico che una strategia commerciale, l’idea di “Maga” si fonda sull’illusione di reciproci accordi che chiudono la porta a una realtà più complessa. Si parla di dazi differenziati, suddivisi in fasce di colore, come se l’aderenza ai «valori» americani potesse essere misurata con una palette di cartoncini. Se Bessent e Miran si interrogano sull’ottimale 20%, non si rendono conto che le loro proposte si scontrano con la cruda verità: queste manovre potrebbero scatenare una wars commerciale che non solo non aiuterebbe, ma danneggerebbe i consumatori americani. E mentre si ipotizza la raccolta di entrate dalle tariffe per rifinanziare un Tax Cuts and Jobs Act ormai al capolinea, ci si dimentica che il piano di riportare la produzione negli USA è in netto contrasto con l’idea di aumentare le entrate statali. E chi paga? I consumatori, che vedranno solo aumentare i prezzi.

Strategie contraddittorie

Entriamo nel vivo dell’accordo di Mar-a-Lago, dove sembra che per risolvere problemi si creino solo nuove complicazioni. L’idea di convocare i leader globali per discutere un «grande accordo» sui tassi di cambio appare più una mossa da circo che una strategia concreta. Convincere i partner a manovre coordinate, come vendere le loro riserve per abbassare il valore del dollaro, ha il sapore di un sogno collettivo in cui tutti dovrebbero sacrificarsi per il bene di un’economia che sta scricchiolando. Chi beneficia realmente di questi cambiamenti?

Un approccio inquietante

Il tentativo di sedare l’aumento del debito Usa, previsto per schizzare dal 100% al 156% del pil entro il 2055, somiglia a un gioco di prestigio mal riuscito: far pagare i debitori esteri per rimanere a galla sembra una strategia non solo a rischio, ma pura follia, specialmente con titoli di stato a lungo termine che devono offrire rendimenti inferiori. Il linguaggio di Miran è già di per sé una contraddizione vivente: «approccio multilaterale» suona bene, ma in realtà si riduce a intimidazione. Proprio il genere di relazione che non porta lontano.

Le incoerenze esplicite

Se le compensazioni valutarie vanno a segno, i dazi diventerebbero superflui, complicando inutilmente la situazione commerciale. Ma il vero dilemma emerge nell’ideologia di rinazionalizzazione: come dimostran<>o le affermazioni di Krugman, se il costo di produzione non aumenta, perché i consumatori dovrebbero scegliere prodotti americani? E se l’argomento di difesa trasforma in gravissimo un aumento della spesa militare, non ci chiediamo se sia il momento di riconsiderare questa prioritizzazione? L’idea proposta sembra più un assalto ai valori di cooperazione piuttosto che un approccio strategico.

Il destino incerto

Infine, la visione dell’accordo di Mar-a-Lago è vista come irrealizzabile da esperti e analisti come JP Morgan e ABN Amro. La verità è che il primo passo di questa strategia, i dazi, porterà inevitabilmente a un aumento dell’inflazione e a una crescita negativa. Con tutto questo in gioco, le promesse su un piano strategico di successo rischiano di rimanere solo sulla carta.

Possibili soluzioni (con ironia)

Se davvero volessimo trovare una via d’uscita, potremmo suggerire – ma non lo considereremo mai – di puntare su un discorso aperto sull’equità commerciale globale, su politiche di cooperazione anziché su minacce e ricatti. Chissà, forse i leader mondiali troverebbero il tempo di discutere, ma si sa, in un gioco dove si punta a vincere ad ogni costo, la collaborazione è solo un sogno lontano. Non sarebbe del tutto ironico rimanere imprigionati in strategie che si contraddicono da sole?

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