Il misterioso sogno infranto di Piersanti Mattarella: rivelazioni choc e nuove indagini a 45 anni dall’omicidio

Il misterioso sogno infranto di Piersanti Mattarella: rivelazioni choc e nuove indagini a 45 anni dall’omicidio

Una mostra a Palermo con quasi 200 fotografie, principalmente inedite, del presidente della Regione Siciliana è il modo in cui si intende celebrare la figura di Piersanti Mattarella, un uomo politico assassinato nel gennaio del 1980. Qui, il contrasto tra l’intento celebrativo e la dura realtà storica è palpabile: mentre si rendono omaggio a un politico del passato, non si può ignorare il sogno spezzato di una governante che avrebbe voluto una Sicilia diversa, tragicamente intrappolata tra le mire della mafia e la fragilità delle alleanze politiche.

Un’immagine dal passato

Tra le esposizioni c’è una foto di Aldo Moro, che parlava a un raduno della Democrazia Cristiana il 11 giugno del 1976, pochi giorni prima delle elezioni che ridisegnarono il panorama politico italiano. Una scena che esprime la vocazione antifascista della DC, ma che al contempo fa emergere un elemento contraddittorio: come può un partito che si proclama difensore della democrazia colludere con pratiche così lontane da tale principio?

Il paradosso della celebrazione

Questa mostra, intitolata “Il sogno spezzato”, è stata patrocinata dalla Fondazione Sicilia non solo per commemorare il novantesimo anniversario della nascita di Piersanti Mattarella, ma anche per riflettere su un’eredità politica che ha fatto dell’integrità un pilastro, pur essendo stata azzittita da Cosa Nostra. Eppure, mentre si analizza l’operato di Mattarella, ci si chiede: cosa è cambiato realmente? Le sue ambizioni politiche sono ferro che arrugginisce, dimenticate nella memoria collettiva?

Una storia che si ripete

Subito dopo quell’immagine scattata a Palermo, Moro sarebbe stato brutalmente assassinato, e Mattarella, sorpreso dal terrore, scelse di riflettere sul destino incerto del suo governo: “È finita anche per me, è finita anche per noi.” Qui, la simmetria tra passato e presente diventa inquietante. La storia sembra ripetersi, in un ciclo di violenza e impotenza politica, lasciando un’amara domanda: il coraggio di un leader può davvero prevalere sulle forze oscuri del malaffare?

Dove ci porta il ricordo?

Questa celebrazione della memoria e dell’eredità politica di Piersanti Mattarella si rivela quindi un esercizio di ambiguità. Da un lato, si onorano le sue aspirazioni; dall’altro, si invita a riflettere sull’inadeguatezza di un sistema che, nonostante le buone intenzioni, fatica a proteggere i propri eroi. Se è vero che il coraggio in politica è merce rara, allora la posizione sobria della Fondazione Sicilia è in netto contrasto con il contesto di violenza storica della Sicilia stessa.

Possibili soluzioni?

In definitiva, la domanda finale è provocatoria: come procedere? Le soluzioni possono sembrare facili su carta, ma la realtà è più complessa. Forse è ora di investire in una politica regionale che vada oltre il cerimoniale commemorativo e si impegni in una vera riforma, tenendo a mente i fallimenti storici del passato. Può un cambio di rotta riuscire dove i discorsi si sono rivelati insufficienti? Forse, ma solo se le azioni accompagneranno le parole, e non viceversa.

La lotta contro la mafia, un tema ricorrente nella storia italiana, si intreccia con destinazioni tragiche come quella di Piersanti Mattarella. Già nel 1979, il presidente siciliano rivolse parole accorate al capo dello Stato Sandro Pertini, richiamando l’attenzione sull’influenza opprimente della mafia. Che contraddizione, dare così tanto peso a un messaggio in un’epoca in cui certe voci sembravano già essere messe a tacere.

Una fotografia esposta ci mostra Mattarella sereno, quasi grato, in uno degli ultimi eventi pubblici a Caltagirone. Ma questo apparente ottimismo nascondeva tensioni profonde, rilevabili nei suoi discorsi. È inquietante pensare che, un mese prima della sua morte, in un incontro riservato con il ministro dell’Interno Rognoni, Mattarella avesse avvertito della possibilità di un pericolo imminente. “Se dovesse succedermi qualcosa…” Le sue parole risuonano ora come un’amara profezia, rivelando un senso di impotenza contro un sistema marcio che egli cercava di sfidare.

La sua storia di coraggio è contrapposta a quell’orizzonte familiare che tanto amava, ritratto in momenti di spensieratezza con la moglie Irma e i figli. È un quadro emozionante, ma è difficile non notare l’assurdità di come l’impegno per il rinnovamento potesse convivere con tutto ciò che lo circondava: un potere reso impermeabile dalle collusioni mafiose.

Giovanni Falcone, che ha indagato sull’assassinio di Mattarella, ha lasciato un’impronta indelebile, segnalando l’intersezione tra mafia e terrorismo. E mentre oggi, a 45 anni di distanza, nuove indagini della Procura di Palermo cercano di chiarire il mistero dell’omicidio, ci si domanda quanto possa essere ancora rilevante la verità rispetto ai silenzi che avvolgono queste storie.

Un’ironia amara si fa strada quando pensiamo alla tragica sorte di Falcone e di altri come lui, che hanno pagato con la vita il prezzo della lotta al sistema. Piersanti Mattarella stava cercando di moralizzare una classe dirigente inaridita da anni di complicità. Ma cosa fare per evitare che queste figure emblematiche cadano nell’oblio? La storia si ripete, le indagini si susseguono, ma il sistema sembra resistere.

Possibili soluzioni? Potremmo iniziare con una maggiore trasparenza nei processi politici e una coraggiosa riforma del sistema giudiziario, o magari un’educazione più incisiva che smascheri le illusioni di potere. Tuttavia, dubitare dell’implementazione di tali piani è quanto mai giustificabile. Perché, alla fine, che senso ha parlare di cambiamento se gli schemi persisteranno indisturbati?

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