In una bella disamina dei cardinali emergono desideri quanto mai contraddittori. Si vorrebbe trovare un equilibrio tra il Papa Francesco del pulpito e quello del «trono». Certo, dopo decenni di guerre morali sulla vita matrimoniale, sarebbe una mossa audace tentare di riunire le forze. Magari ci riusciranno, ma le parole scariche sul tema dell’aborto e la visione “integrale” su pace e ricchezza non aiutano di certo.
Parlando di parabole, c’è una storia evangelica che immagina il regno di Dio come un mercante di perle che, trovata la perla più preziosa, vende tutto per acquistarla. Sì, certo, questa non è la stessa cosa dell’accumulare fondi o beni, ma in ogni caso rappresenta una scelta coraggiosa. Molti si chiedono se oggi siano i discepoli di Gesù a compiere scelte audaci, o se invece continuino a lottare in un marasma di ambiguità.
Il Papa Francesco del pulpito è indubbiamente un maestro nel comunicare il Vangelo con slancio e freschezza, capace di evocare emozioni anche nei non credenti. Tuttavia, chi ha veramente guidato il suo ministero? È lui, il mercante di perle, o l’altro lui, quello “del trono”, che gestisce la Chiesa con avamposti verticali e decisioni dure?
Vorremmo sapere che fine faranno tutte queste meravigliose “perle” di questo pontificato. La vera questione è: i cardinali vorranno davvero mantenerle vive o si accontenteranno di una centralità mitemente burocratica? Riscoprire la dignità episcopale e resistere all’attrazione di potere è sicuramente un obiettivo, ma il rischio di perdere le preziose intuizioni di Francesco è sempre presente.
Se analizziamo le varie perle, scopriamo che il primo grido di Francesco non è tanto l’ideale di una Chiesa povera al servizio dei poveri, ma come tale desiderio sia stato espresso. Non basta semplicemente scambiare l’auto di lusso con un’utilitaria, o lasciare il Palazzo per rifugiarsi a Santa Marta; ci vorrebbe ben altro per dimostrare una vera umiltà.
Chi avrebbe mai pensato che un Papa potesse sembrare così umano? Francesco ha fatto il gesto di mangiare alla mensa coi vassoi, ma chi lo conosce sa che ha fatto finta di ignorare quel suo doppio ruolo, il papa-re e il Francesco del pulpito, come se questi due mondi non coesistessero in un teatrino operativo.
Oh, la seconda perla! Parliamo del restauro della misericordia: la chiesa che torna a essere madre e non matrigna. È come se finalmente avessero deciso di mettere da parte quel tristo viso che tanti avevano associato a istituzioni ecclesiastiche. Dopo decenni di prediche, Francesco ha finalmente colto che nella nostra era post-moderna, mostrare il bastone fa meno effetto di un abbraccio. Ma attenzione! Non lasciatevi illudere: quando parla di aborto, usa un linguaggio che sembra uscito da un romanzo dell’orrore.
Una chicca è stata la sua chiara condanna al possesso delle armi atomiche: predicare la pace è stata la moda di tutti i papi, ma qui Francesco è stato categorico, mentre il Vaticano II tergiversava come un novello contabile. Certo, ha commesso passi falsi diplomatici, ma chi non lo fa? Questo è un momento cruciale, in cui non si può tornare indietro.
La quarta perla è la critica a quel sistema economico tutt’ora definito capitalismo, che ha ben poco a che vedere con l’originale. La ricchezza sfacciata che distrugge il pianeta e riduce le persone a schiavi consumistici non ha meritato la risposta di una dottrina sociale, ma un “no” secco, quasi liberatorio. La vita di un bambino che attraversa il mare di notte è più importante di qualunque teoria economica.
Parliamo ora di sinodalità, quella sfida intricatissima che pare sfuggire a Francesco come sabbia tra le dita. La fisionomia del cattolicesimo moderno non dovrebbe essere dominata da un potere centralizzato e solipsista. Eppure, malgrado il suo tono autoritario, ha cercato di abbracciare la diversità di opinioni, ma che delusione! I sinodi sulla sinodalità non hanno portato a nulla di concreto. Davvero, la chiesa non ha bisogno di un altro Bonifacio VIII, ma piuttosto di un Papa che sappia discernere tra problemi maturi e immaturi, magari confrontandosi con le istanze conciliari.
Mancava solo la perla del prete uxorato, un argomento che Francesco sembrava voler riprendere anche nella chiesa latina. Ma, evidentemente, l’ha lasciato nel cassetto. E se vi state chiedendo se il suo predecessore, Ratzinger, avesse già deciso la questione, la risposta è sì! Con una solenne Costituzione, aveva già aperto le porte ai preti e vescovi anglicani convertiti. Bastava estendere quell’accesso a tutti i vescovi cattolici, ma chissà, forse Francesco si è lasciato influenzare da una certa diffidenza nei confronti del sapere canonistico.
In sostanza, quel che manca è il coraggio di prendere decisioni audaci e risolute: se il suo successore volesse prendere spunto da questa sequela di “perle”, potrebbe inaugurare un ciclo di riforme dalla portata ineguagliabile.