Il Ceo di Ubs si vanta delle sue mosse geniali mentre i profitti volano alle stelle — e tutti applaudono senza chiedere come

Il Ceo di Ubs si vanta delle sue mosse geniali mentre i profitti volano alle stelle — e tutti applaudono senza chiedere come

Che sorpresa! UBS, il gigante bancario svizzero noto per la sua instancabile capacità di far parlare di sé, ci presenta un guadagno netto trimestrale che fa impallidire gli analisti. Un incremento del 74% rispetto all’anno scorso, passando da 1,43 a 2,5 miliardi di dollari. Non male per quei piccoli dettagli di “liberazione” dalle riserve legali, vero?

Sì, perché dietro all’incredibile numero si cela una ricetta semplice e irresistibile: la risoluzione di “matasse legali” legate al business dei mutui ipotecari di Credit Suisse e alle attività transfrontaliere in Francia, che hanno liberato ben 668 milioni di dollari in fondi finora accantonati. Insomma, più che un guadagno è un bel risparmio post-trauma.

Tra l’altro, il fatturato del trimestre di 12,76 miliardi supera di poco le previsioni degli adoranti analisti, che quanto meno si aspettavano un numero vicino a 12,68. Altro che “sorpresa”! Una vera pacchia.

Sergio Ermotti, il CEO che indossa la cravatta dell’ottimismo anche nelle peggiori tempeste, ha dichiarato:

“Sono molto soddisfatto che la nostra strategia diversificata continui a produrre risultati eccellenti. Gli investimenti in aree chiave stanno pagando bene e stiamo facendo progressi notevoli nell’integrazione complicatissima di Credit Suisse, prevista per la fine del prossimo anno.”

Ah, l’integrazione del rivale domestico che, ricordiamolo, è stata formalizzata grazie a un salvataggio statale nel 2023. Sicuramente nulla di cui preoccuparsi, soprattutto perché UBS annuncia di aver già agguantato 10 miliardi dei 13 miliardi previsti in tagli ai costi. Bravi loro, ma i conti si fanno anche dall’altra parte.

E qui veniamo al cosiddetto “piccolo dettaglio” che potrebbe rovinare la festa: nuove, attese ma “estreme” richieste di capitale obbligatorio. Un aumento potenzialmente gigantesco, voluto dal governo svizzero che – si sa – ha imparato dai gloriosi “capolavori” di Credit Suisse e adesso vuole mettere qualche paletto in più, giusto per proteggere i contribuenti e l’economia reale.

UBS, da parte sua, non ci sta e già in giugno aveva detto chiaramente di supportare quasi tutte le proposte regolamentari, tranne quella “estremamente esagerata” sull’aumento dei requisiti patrimoniali. Insomma, diciamolo: proteggere il sistema a volte costa, ma far pagare il conto alle banche proprio no, grazie.

Una vendita al dettaglio del rischio di mercato, chi se ne importa?

Nel terzo trimestre, la divisione gestione patrimoniale di UBS ha accolto con piacere 38 miliardi di dollari in nuovi capitali netti, dimostrando che qualcuno continua a fidarsi ancora, o almeno a credere che lì dentro non sia tutto così lontano dal miracolo.

Le azioni di UBS hanno guadagnato oltre l’11% negli ultimi mesi, un piccolo raggio di sole in tempi di tempesta. Ma, ovviamente, non tutto è rose e fiori: il gruppo avverte che il quarto trimestre potrebbe regalare risparmi più modesti, complici le migrazioni della piattaforma svizzera e l’aumento stagionale delle spese non legate al personale.

Inoltre, gli investitori si stanno trasformando in piccoli professionisti dell’hedging, perché la volatilità di mercato torna a salire a ritmi divertenti – peccato che il “divertimento” sia costoso.

UBS tranquillizza (o forse no) spiegando:

“Nonostante tutto, le attività transazionali e i nostri progetti di deal restano solidi, anche se il sentiment può cambiare velocemente quando la fiducia sul futuro viene messa alla prova, e poi ci sono anche le stagioni a fare cose strane.”

Che dire, una definizione poetica e un po’ eufemistica della volatilità che minaccia di trasformare ogni prospettiva in un incubo, specie se ci si ricorda che gli oscuri venti macroeconomici fanno capolino assieme a un franco svizzero forte come non mai e l’ombra lunga di tariffe statunitensi sempre più pesanti.

Il “tariffone” di Trump che fa male al paradiso elvetico

Infatti, proprio quest’anno la Casa Bianca, guidata dall’ormai indimenticabile Donald Trump, ha deciso di infliggere una tariffa del 39% su tutte le merci svizzere esportate negli Stati Uniti. Motivazione ufficiale? Il mancato accordo commerciale tra una delegazione svizzera e i funzionari americani. Un bel capolavoro di politica internazionale, degno delle migliori sceneggiate globali.

Il risultato? La Svizzera si trova improvvisamente con uno dei dazi più alti imposti da quell’amministrazione sulla testa, o meglio, sulle merci nazionali. E attenzione, questa è molto più di una piccola scaramuccia: l’agenzia federale ha già rivisto al ribasso le previsioni di crescita economica per il 2026, evidenziando come questa austerità commerciale appesantisca un’economia che, fino a ieri, percepivamo come solida come il cioccolato svizzero.

Insomma, tra integrazioni bancarie complesse, scorpacciate di capitali liberati dalle riserve e tariffe che piovono come meteoriti, UBS e la Svizzera ci regalano l’ennesimo capitolo di commedia tragica dal sapore amaro, condito con una spruzzata di “problemi sistemici” e un tocco di “rischio fiscale” per il povero contribuente. Buon appetito.

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