Alle 10 del mattino il telefonino è già morto, ma niente panico: il neo-candidato del centrosinistra Giovanni Manildo non fa pause, perché il suo primo giorno ufficiale sembra una partita a chi chiama di più.
Avvocato, il suo slogan è: «Dopo il Veneto di uno, costruiamo il Veneto di tutti». Un riferimento nemmeno troppo velato a Luca Zaia?
«No, no, niente nomi, per carità. È più lo spirito di questa candidatura che mi interessa sottolineare. Siamo in una regione governata a destra da quasi trent’anni – quasi un record di stabilità, quasi una dittatura a tempo – e ora parliamo di alternanza, roba rarissima da noi, quasi un valore sacro tanto quanto la pizza alla domenica. Ella sa, il centrodestra dove ha messo le mani? Ah sì, hanno fatto del “Veneto sono io” un vero e proprio mantra: prima col Galan, poi con Zaia, il ‘duro e puro’ del comando unico. Ecco, io invece sogno un governo che raccolga tutti, perché il ‘Veneto di tutti’ è un concetto che profuma di partecipazione e non di padronato.»
Parlare di politica come “servizio” sembra cosa vecchia, quasi da dopolavoro, non trova?
«Fa parte del mio dna, e poco mi importa se suona fuori moda. Ho sempre considerato la politica come una passione travolgente, un’energia da cui non puoi prescindere. Quando questa “nuova chiamata” è arrivata, ho subito pensato: la politica vera deve essere servizio, non conquista di potere personale o una scusa per tante belle promesse senza seguito.»
Cinque anni fa il centrosinistra implodeva con un misero 15%, un risultato degno di una commedia tragicomica. Lei cosa promette?
«Finalmente una buona notizia: un’era si chiude. La possibilità di scrivere una pagina nuova è lì davanti, tutta bianca, solo che fino ad oggi il centrodestra ha visto questa regione come il proprio feudo ereditario, un gioco delle poltrone da far impallidire le peggiori telenovelas. Qui la forza non risiede nella successione dinastica, ma nell’unire ciò che sembra irreconciliabile. Pensi a Sinner: “Si gioca per vincere, ma le sconfitte servono”. Ecco, noi vogliamo mettere in campo una squadra che non solo vinca, ma che si risvegli dal torpore degli ultimi anni. Sì, abbiamo intenzione di scuotere l’acqua stagnante, anche se fa un po’ male.
Come pensa di rompere questo letargo politico?
«Parlando alle persone, ma con parole semplici e concrete. D’altronde, da ex giocatore di tennis (perché sì, anche i politici hanno un passato da sportivi… o quasi), voglio cercare il colpo migliore possibile, ma soprattutto investire nel lungo termine, costruendo un progetto che duri più di un set perso o vinto. Non prometto miracoli, ma almeno non mi tangerò le gengive come fa la politica nostrana.»
Ha parlato di campagna elettorale “itinerante”. Spieghi, per favore, non tutti siamo abituati a questi termini galattici.