Il comitato di presidenza del Copasir ha deciso di analizzare un caso che sembra uscito da un romanzo di spionaggio, con un drone che avrebbe violato la no-fly zone di Ispra, sul Lago Maggiore. Tuttavia, ci si potrebbe chiedere: era davvero necessario un drone per sollevare un allarme di spionaggio russo? Queste violazioni hanno sollevato un vespaio d’interrogativi, soprattutto perché il velivolo utilizzava frequenze tipiche di apparecchiature di fabbricazione russa. Un’area già sensibilizzata dalla presenza del Jrc e dalla sede operativa del comando Nato di Olona, ora al centro di indagini avviate dalla Procura di Milano.
La Procura ha chiesto informazioni all’Enav e all’Aeronautica Militare riguardo a quei sei passaggi in cinque giorni. Ma ci si interroga: perché aspettare una violazione per attivare un’indagine? E, cosa ancor più sorprendente, ci sono altri voli sospetti non segnalati dal Jrc? È una situazione che suggerisce non solo lapsus istituzionali, ma una fondamentale lettura a metà strada tra esercizio di pigrizia burocratica e mancanza di coordinamento.
I custodi della sicurezza del Jrc, che si sono mossi per sporgere denuncia ai carabinieri di Varese, hanno avviato una spirale investigativa che ha portato a un’inchiesta coordinata da esperti della lotta al terrorismo. Qui emergono nomi e attenzioni verso la destra estrema, protagonisti di manifestazioni che rasentano il pro Cremlino. Un bel paradosso: in un mondo dove la sicurezza è prioritaria, si scopre che la più grande minaccia potrebbe provenire da chi è in casa. Procedendo tra dossieraggi e attività a favore dei servizi russi, si potrebbe dire che la verità si nasconde in dettagli che renderebbero perfetta un’opera di finzione.
Riflettiamo sui dettagli
Mentre si effettuano verifiche tecniche sul software del captatore del Jrc e si esaminano i tracciati del drone, ci si chiede: i testi e i video non potrebbero svelare più di fino i segreti di questa vicenda? Paradossalmente, l’affidabilità delle fonti soppesa in un contesto di potenziale spionaggio politico e militare aggravato, accennando a condotte di «grave danno» all’Italia, porta con sé una riflessione ironica: nell’era della connettività, la discrezione pare un ferro di cavallo nel manico di una spada.
Quali sono le soluzioni? Viene da sorridere: più droni o più controlli? Potremmo considerare un percorso che integri tecnologia e vigilanza umana, o forse un aggiornamento sulle normative che regolano l’operato del Copasir. Quando l’astuzia del bureaucrate incontra i droni nello spazio aereo, la vera missione sembra diventata quella di trovare un equilibrio tra la sicurezza e la libertà di cui a volte ci dimentichiamo di goderne. Ma sarà un sogno o un’illusione?
La questione è complessa e ricca di spunti di riflessione. Come è stato possibile violare, ignorare e operare indisturbati nella no-fly zone? È un dilemma che solleva non poche domande. Il presidente emerito di Anacna, Oliviero Barsanti, fornisce una spiegazione apparentemente rassicurante: la difesa nazionale dispone di sistemi in grado di intercettare aerei stranieri e di intervenire in caso di violazione di queste zone. Ma ecco il primo paradosso: ci fa sapere che tali misure funzionano “alla grande” quando si tratta di aerei di dimensioni maggiori. Ma che dire dei mezzi volanti più piccoli, a quote più basse? Lì la situazione si complica, perché «al di sotto di un certo range di peso e di massa critica metallica si rimane invisibili ai radar», dice il nostro esperto. Magari i radar sono una grande innovazione tecnologica, ma sembra che ci siano anche delle limitazioni inquietanti, non è così?
Il pilota invisibile
Un altro punto da considerare: chi stava pilotando questi droni? “Non necessariamente” ci informa Barsanti. A quanto pare, ci sono droni con capacità BLOS (beyond line of sight) che possono essere controllati da operatori ben oltre il loro raggio visivo. Ecco l’essenza della modernità! Comodamente seduti chissà dove, si può orchestrare un gran balletto di droni. Ma allora ci si chiede: è davvero impossibile individuare chi maneja queste macchine? Anche se non sappiamo il caso specifico, la tecnologia esiste. La domanda rimane: con quali garanzie ci muoviamo in questo territorio così nebuloso?
Una realtà ambigua
Nell’era delle informazioni, la trasparenza è essenziale, eppure è incredibile come si possa giungere a situazioni così opache. Ci vengono presentati sistemi avanzati di sorveglianza e monitoraggio, ma i dettagli su come funzioni questo apparato rimangono avvolti nel mistero. Chi scambia efficienza per incompetenza in un contesto così critico? Infine, è ovvio che le promesse fatte sulla sicurezza non si sono concretizzate come sperato. Gli incidenti e le violazioni sono l’input migliore per interrogarsi sulla credibilità dei piani e delle strategie attuali.
Possibili soluzioni?
Quindi, quali potrebbero essere le soluzioni per migliorare un sistema così fragile? Forse un maggiore investimento in tecnologie di sorveglianza più sofisticate e, perché no, un po’ più di coerenza nella comunicazione di informazioni cruciali. Ma, in un clima di promesse mai mantenute, la vera domanda è: quando ci decideremo a vedere oltre queste “infrastrutture invisibili”? L’idea di un uccello invisibile che vola sopra le nostre teste dovrebbe già suonare come una campanella di allerta, non credete?