Negli ultimi vent’anni abbiamo assistito a un “miracolo” globale: la mortalità neonatale si è miracolosamente ridotta del 44%. Un traguardo ammirevole, se non fosse per il piccolo dettaglio che nella “fortunata” regione africana questo calo si è fermato al modesto 26%. Ma non temete: l’80% delle morti neonatali è evitabile, basta solo una scintilla di collaborazione tra “ente filantropico” e governi di turno, perché, si sa, salvarsi la pelle da un destino neonatale tragico è pura questione di scelta e sinergia. Almeno così ci racconta con entusiasmo Queen Dube, responsabile del Newborn Health Program dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), intervenuta durante la kermesse “Accelerare il cambiamento” ospitata nell’impeccabile auditorium della Chiesi Farmaceutici a Parma, per i vent’anni della fondazione Paolo Chiesi.
La narrazione prosegue con un’ode all’“impegno filantropico” in Africa, dove, secondo Dube, “numerose fondazioni gettano tonnellate di risorse per affrontare sfide cruciali come la salute materna e neonatale”. Peccato che però, nel mezzo di questa generosa pioggia di capitali, la statistica non sembri volerne sapere di migliorare proporzionalmente. Formazione del personale sanitario, distribuzione di farmaci essenziali, creazione di sistemi di collaborazione ospedaliera: tutto splendore, ma la domanda è sempre la stessa e non perde mai il suo fascino da rompicapo. Come si fa a lavorare “in sinergia” con governi che spesso mostrano piĂą proclami che azioni concrete? Certo, il contesto politico “è favorevole” perchĂ© i leader africani “ora” danno prioritĂ a salute materna e neonatale. Peccato che la risoluzione del problema si blocchi sulla parola “investimenti”. Senza soldi freschi e partner capaci e disposti a spingere l’agenda, tutto resta un bel discorso da salotto. E qui la filantropia gioca il ruolo di stella polare: deve essere quel turbo necessario per lo scatto finale, perchĂ© senza la sua bacchetta magica, siamo ancora al palo. Il messaggio è chiaro: “solo insieme” – e qui la retorica tocca il suo apice – “potremo fare la differenza”. Magari.
Quali fattori “modificabili” tengono a bada la mortalità neonatale?
Cominciamo con la ricetta base stile “manuale della salute neonatale”: la salute di un bambino appena venuto al mondo dipende direttamente dalla salute della madre durante la gravidanza. Una veritĂ rivoluzionaria, mai sentita prima. Dube ci illumina spiegando che “tutto ciò che accade a una donna incinta ha un impatto immediato e diretto sul risultato neonatale”. BontĂ sua, qualche investimento nella qualitĂ dell’assistenza prenatale è stato fatto – un miracolo – per esempio con diagnosi e trattamento della sifilide. Così, per fare un esempio banale, se una partoriente viene controllata e trattata in tempo, il bimbo ha piĂą chance di non finire nel cimitero degli innocenti. Fantascienza?
Altrimenti? Beh, il bimbo può semplicemente morire nel grembo della madre o nelle prime settimane, ma non preoccupatevi: è tutta colpa di un “mancato screening”. Ovviamente un po’ meno colpa dei sistemi sanitari che (forse) non riescono a garantire assistenza a tappeto. Ma niente polemiche: l’OMS ci rassicura che la salute materna è il primo passo e sembriamo finalmente sull’orlo di una “rivoluzione” (sotto intensi riflettori filantropici).
Non finiscono qui i fattori “modificabili”, ma beninteso, ci raccontano tutto con grazia e ottimismo, forse un po’ troppo. Resta il fatto che, nonostante le favole di fondazioni e governi allineati, il gap tra le parole e la realtà resta abissale. E quel 26% di riduzione africana è lì a ricordarcelo, quasi una beffa amara: conta la buona volontà , certo, ma alla fine servono fatti, investimenti veri e meno proclami a scena aperta.
Il settore dell’assistenza al parto ha finalmente ottenuto il tanto atteso investimento, quasi come se fosse un’illuminazione improvvisa su un problema che esiste da millenni. L’esperta dell’OMS sottolinea con affetto quanto il monitoraggio del travaglio e del parto impatti direttamente sulla sopravvivenza neonatale – notizia shock, davvero! Anche in questo campo, si sono registrati progressi “significativi”, come se non fosse stata una prioritĂ cruciale fin dall’inizio.
Passiamo poi all’assistenza postnatale, quella fase magica dove le visite nelle prime 24 ore e nei giorni successivi avrebbero solo il potere di migliorare la salute dei neonati. Che novitĂ : a quanto pare, per ottenere risultati decenti basta davvero poco, ma chi l’avrebbe mai detto? Last but not least, abbiamo l’espansione delle cure di secondo livello dedicate ai neonati piccoli e malati, con interventi super sofisticati come la Cpap, nientemeno che la ventilazione per chi ha difficoltĂ respiratorie, o una gestione piĂą “efficace” delle infezioni. Quel tipo di investimenti sembra essere finalmente la chiave per limare la mortalitĂ neonatale.
Eppure, dopo tutto questo sfarfallio di buone intenzioni e investimenti, la realtà non si scompone affatto: la mortalità neonatale globale è sì quasi dimezzata, ma il cuore grosso delle tragedie rimane inchiodato in Africa, più precisamente nell’Africa sub-sahariana. Questa regione, manco a farlo apposta, si prende la magra onoreficenza di rappresentare circa la metà delle morti. Un bel passo avanti, ma anche uno smaccato invito all’ipocrisia della solidarietà internazionale che si cancella da sé non appena si varcano certi confini.
Come se non bastasse, in quella particolare zona si sta sempre peggio: la diffusione delle cure di secondo livello è così limitata che potremmo quasi tornare all’età della pietra; un esercito di donne continua imperterrito a partorire a casa – si sa, tanto meglio il metodo naturale e senza assistenza qualificata; mentre nelle strutture sanitarie, che dovrebbero essere il summit della dignità assistenziale, la qualità dell’assistenza intrapartum è appena un sogno lontano. Ah, e non dimentichiamo il “pacchetto” di cure prenatali, che avrebbe bisogno ancora di molti miglioramenti. Ma dai, sembrano tutte banalità che non meritano nemmeno di essere menzionate!
Dove concentrare l’impegno? La risposta è scontata.
“Mettiamo tutta la carne sul fuoco esattamente dove la carne brucia di più,” ci consiglia la saggezza del momento: ovvero in Africa e in quelle aree fragilissime, flagellate da conflitti infiniti e da un’inefficienza amministrativa che farebbe invidia a qualsiasi commedia tragica. Questi sono i terreni di caccia preferiti della mortalità neonatale, il luogo ideale per lasciare che la sofferenza prolifichi indisturbata.
L’indicazione è strabiliante nella sua semplicità : rafforzare le cure neonatali essenziali e garantire che le donne possano partorire in strutture sanitarie “meglio attrezzate”, un modo gentile per dire: con un minimo di decenza e strumentazione. E poi, naturalmente, c’è bisogno di investimenti massicci nelle cure di secondo livello, cosa che comporta dover mettere a disposizione dispositivi medici, personale qualificato (una rarità in quei contesti), farmaci, sistemi di monitoraggio che funzionino davvero e, attenzione, mezzi di trasporto efficaci con una rete di riferimento che non si sfasci al primo colpo di vento.
Insomma, è proprio lì, laddove sembra quasi un lusso poter garantire il minimo sindacale di assistenza, che dobbiamo versare risorse. Che rivoluzione, non trovate? Speriamo solo che le buone intenzioni nel comunicato si trasformino presto in azioni concrete, perché questa sacrosanta verità suona fin troppo come un déjà vu di promesse mancate e litanie di soluzioni mai implementate realmente.



