Quando un nuovo presidente giura sulla Bibbia, c’è sempre chi applaude con fervore e chi assiste con un sorriso studiato. Ma il 20 gennaio, a Capitol Hill, la platea era più che mai un concentrato di poteri forti, con i grandi nomi della tecnologia e della finanza schierati come se stessero supervisionando l’apertura di un nuovo business. Elon Musk, Jeff Bezos, Mark Zuckerberg, Sergey Brin e Bernard Arnault non erano certo lì per caso.
L’impero economico si inchina (o finge di farlo)
Perché i padroni dell’innovazione, dell’e-commerce e del lusso erano tutti seduti in prima fila? Forse per vedere con i propri occhi chi avrebbe sconvolto i mercati nei mesi successivi, o forse per trovare un modo per trarne vantaggio. Dopo la vittoria elettorale di Trump, gli investitori speravano in una deregulation selvaggia e in un allentamento delle regole fiscali. Ma erano anche consapevoli del rischio: un presidente imprevedibile è il peggior incubo per chi gioca con miliardi di dollari.
La finta amicizia tra Trump e i titani della tecnologia
Non facciamoci illusioni: tra questi magnati, pochi erano sinceramente entusiasti di Trump. Musk si è sempre mosso tra collaborazione forzata e critiche taglienti, mentre Bezos, con il suo impero Amazon, è stato più volte bersaglio delle invettive presidenziali. Zuckerberg, dal canto suo, sa bene che il business dei social network non può prosperare se la politica decide di mettergli i bastoni tra le ruote. E poi c’è Arnault, padrone del lusso, che osserva con attenzione le folli politiche commerciali americane, consapevole che ogni dazio in più potrebbe affondare il mercato.
Le promesse di Trump e il rischio della realtà
Meno tasse, meno regolamentazione, più crescita. Questo era il mantra che molti si aspettavano dall’amministrazione Trump. Ma la realtà si è dimostrata più tormentata del previsto: dazi commerciali che minacciavano la catena di approvvigionamento delle big tech, nuove regolamentazioni sulla privacy e una guerra senza fine con le piattaforme digitali. Chi si aspettava un “regno dorato per i miliardari” ha dovuto fare i conti con un contesto più turbulento e imprevedibile.
Il grande gioco del “chi si salva?”
Ora la domanda è: chi di loro ne è uscito vincitore? Musk ha continuato la sua corsa spaziale, Bezos ha espanso Amazon a dismisura, mentre Zuckerberg ha schivato regolamentazioni soffocanti con strategie al limite della legalità. Ma il prezzo di questa partita si è visto con il tempo: il mondo della tecnologia ha iniziato a guardare Washington con sempre maggiore diffidenza, sapendo che ogni tweet presidenziale poteva far perdere miliardi di dollari in un batter d’occhio.
E ora?
Il giuramento è stato solo il primo atto di una commedia brutale. I supermiliardari, con la loro proverbiale lungimiranza, non sono certo rimasti fermi a guardare. Ma il vero nodo resta: chi guida davvero il mondo, la politica o il capitale? La risposta, forse, si trova in quei sorrisi controllati immortalati quel giorno a Capitol Hill.