Ah, la pace nel mondo: quella magica utopia sempre a un passo, mai davvero raggiunta, specialmente quando i negoziatori sembrano usciti da una telenovela geopolitica. Volodymyr Zelensky, presidente di un paese in guerra dal 2022, si trova a fare i conti con promesse quasi realistiche di una tregua che, ovviamente, nessuno sembra volere veramente.
Negli affollati corridoi di Berlino, dove si sono ritrovati il nostro benamato inviato speciale di Donald Trump, Steve Witkoff, e il suo inseparabile genero Jared Kushner, le trattative hanno preso il via con uno spirito da reality show diplomatico. Di cosa si tratta? Di un patto di pace quasi completato, dicono le cronache americane, peccato che il concetto di “quasi” sia diventato il migliore amico della confusione internazionale.
In questo ribollire di promesse e mezze parole, Zelensky ha fatto un passo indietro, rinunciando finalmente al sogno di aderire alla NATO. Un gesto di grande amore verso la coerenza, o forse solo un capitolarsi davanti al disincanto. Ma come ogni buona trattativa all’americana, il nostro eroe insiste affinché gli vengano garantite delle protezioni alla famigerata “Articolo Cinque” – quello stesso articolo che dice, testualmente, che un attacco a uno è un attacco a tutti nella famigerata alleanza.
Un funzionario statunitense, con candore disarmante, ha ammesso che qualsiasi promessa in tal senso necessiterebbe dell’approvazione del Congresso, quel luogo magico dove le buone intenzioni vanno a morire nel caos burocratico. “Pensiamo che i russi, in un accordo finale, accetteranno tutto questo, permettendo un’Ucraina forte e libera,” ha rassicurato con sicurezza, come fosse un consulente di vendita di auto usate.
E non è finita qui: gli stessi emissari occidentali confessano che i russi sarebbero perfino disponibili a lasciar entrare l’Ucraina nell’Unione Europea. Un colpo di teatro degno di una soap, considerando l’ostinazione di Putin sulla questione territoriale, quel semplice dettaglio che sta ancora bloccando tutto il teatro della pace.
Un anonimo portavoce degli Stati Uniti ha tranquillamente dichiarato che circa il 90% dei problemi sono risolti — peccato che quel restante 10% riguardi proprio le “piccole” questioni che, sapete, possono coinvolgere interi territori da cedere o meno.
Territorio, Territorio, Territorio
Il vero nodo gordiano rimane la divisione della torta territoriale: Putin ha esplicitamente richiesto che l’Ucraina rinunci a parte del suo suolo sacro per porre fine alle ostilità. Ovviamente, Zelensky ha detto no, rifiutando di cedere anche un solo centimetro. Cosa potrebbe andare storto?
Le trattative, che già si trascinano da un po’, continueranno fino al prossimo weekend e, in una svolta degna di una telenovela sonora di sole scadenze, potrebbero spostarsi addirittura a Miami. Proprio così, perché nulla dice “pace mondiale” come incontri esotici dove firmare trattati e magari sorseggiare un mojito.
Secondo fonti beninformate (cioè chi ha voglia di crederci), Trump potrebbe addirittura partecipare a una cena in cui si troveranno a conversare con Zelensky e altri leader europei. Immaginate poi lo scambio di battute, dove la diplomazia si fonde con l’arte sottile del “facciamo finta che tutto vada bene”.
Un funzionario americano ha sintetizzato il tutto con un’espressione carica di speranza, leggasi sarcasmo involontario:
“Speriamo di essere sulla strada della pace.”
Un auspicio simpatico, simile a chi spera che il sole sorga domani. Nel frattempo, l’Ucraina resta un puzzle di territori contesi, e l’uomo della pace alias Trump continua a premere perché si metta una pietra sopra a un conflitto iniziato da un’invasione fin troppo reale. Perché, se non lo si dice guarda caso lui, allora chi?



