Non si tratta mica della solita lite tra maggioranze, eh no. Questa volta è il duello epico — o forse solo tragicomico — tra Forza Italia e Lega che anima i salotti italiani. Motivo? Lo “stucchevole” tema dello jus Italiae, ovvero la cittadinanza facile per i migranti, proposto da FI e puntualmente bocciato dai soliti fedelissimi della destra dura: Lega e FdI. Piccoli dettagli, signori, ma la vera domanda è tutt’altra: quale pantomima vorrà tirare fuori questo scontro quando si parlerà di candidati alle Regionali di quest’autunno oppure di quella rarissima bestia mitologica chiamata “politica estera condivisa” tra UE e NATO?
Il vicepremier Antonio Tajani, con la grazia di un equilibrista su filo di rasoio, rivendica il suo gioiellino, lo jus Italiae, salvo poi ammettere con un colpo di scena da maestro di strategia che «non è la priorità. La priorità è la giustizia». Classico: si afferma per poi rinnegarlo, il tutto servito con un sorso di amnesia politica per lenire la polemica.
E qui arriva la perla: quando Tajani elogia Forza Italia come «il terzo partito d’Italia», non sta mica facendo una constatazione casuale: dà ufficialmente il via a quella competizione che tutti fingono di ignorare – soprattutto con l’altro vicepremier e leader del Carroccio, Matteo Salvini. Ma sì, vogliamo mettere? FI si fa scudo del “fondatore del centrodestra”, chiama a raccolta tutti quei centristi ed europeisti scontenti, quelli che magari un tempo votavano sinistra. Un piano geniale? Tutt’altro: più che guardare alle opposizioni, sembra proprio un tentativo da manuale di cannibalizzarne qualcuna.
La vera bomba, però, è questa: oltre alle sceneggiate verbali, Forza Italia sta già facendo capire che all’ora fatidica della scelta dei candidati governatori, vuole spuntarla e pesare molto più dei suoi numeri reali consentirebbero. Eh sì, le aspirazioni fanno miracoli! Ma la cosa si fa gustosa soprattutto per la sfida a destra, in quelle regioni del Nord in cui il carroccio scalpita e anche Fratelli d’Italia non sta a guardare. Una festa delle identità regionali che aggiunge un bel tocco di confusione a livello europeo: Tajani stesso ammette candidamente «Abbiamo identità differenti. Noi siamo nel PPE, FdI in un’altra famiglia, la Lega in un’altra ancora».
E se qualcuno ha avuto l’ardire di pensare che questa melina potrebbe minare il centrodestra, Tajani ci tiene a rassicurarci con la sicurezza di chi ha appena scoperto la quadratura del cerchio: «È normale che ci siano opinioni differenti. Ma non minano il centrodestra». Come no, certo. Poi aggiunge scherzosamente che su riforma della giustizia, premierato e autonomia regionale, beh, lì ci sono perfino “visioni comuni”. E naturalmente questa armonia magica si estende anche alla politica estera — un’estasi da manuale della discordia italiana.
Eppure, Antonio Tajani ha centrato il punto definendo la riforma della giustizia come «la riforma delle riforme». Come se fosse l’unica sfida davvero seria, su cui il governo – incredibilmente – marcia compatto, pur nuotando in un mare di tensioni incandescenti degne di un romanzo di intrighi.
Tuttavia, non si può ignorare il silenzioso «disappunto» che trapela da Fratelli d’Italia e Lega per l’impopolare aumento dei pedaggi autostradali, un provvedimento che, guarda caso, è stato deciso proprio dalla loro maggioranza. Ironia della sorte? O semplice dimostrazione che le buone intenzioni del governo finiscono spesso travolte da quel magma di pressioni elettorali e calcoli di potere?
In sottofondo resta poi l’eterno interrogativo: come si risolverà il nodo del voto regionale? Giovanni Donzelli, sempre pronto a sparare sentenze, sostiene che la sinistra sia in condizioni ancora più disastrate. Forse ha ragione, ma l’impressione dominante è che il vero motore oggi sia la spasmodica ricerca di candidati unici, anche se alleati con un’agenda politica che sembra subordinata al Movimento 5 Stelle.


