Sta facendo scalpore la decisione della maggioranza leghista del consiglio provinciale di nominare l’avvocato, attuale difensore civico, Giacomo Bernardi a giudice laico del Tar di Trento. È interessante notare come la carriera di Bernardi sia intrinsecamente legata al governatore trentino Maurizio Fugatti: prima candidato sindaco per il centrodestra ad Arco, poi capoccia dell’Avvocatura in Provincia, infine difensore civico e ora proclamato a far parte dell’amministrazione regionale. Ma di certo, nulla di tutto ciò è sospetto!
Per capirne di più, abbiamo l’immancabile intervista a Gianfranco Postal, membro della Commissione dei Dodici, l’ente responsabile dell’interpretazione delle norme di attuazione dello Statuto. Ecco qui: «Nello Statuto di autonomia del 1972 ci sono delle norme di garanzia che, si sussurra, dovrebbero regolare la giustizia amministrativa in Alto Adige. Inoltre, è previsto che a Bolzano ci sia una sezione autonoma del Tribunale regionale di Giustizia amministrativa, con una ratio che solo i saggi conoscono: metà magistrati devono essere del gruppo linguistico tedesco!»
Ma non è finita qui! C’è anche il decreto legislativo Dpr. 426 del 1984, che di per sé è già un capolavoro di complessità burocratica. In questo documento, sono state aggiunte alcune norme che, come per magia, si applicano anche a Trento, specificando che la sezione del tribunale deve avere sei magistrati, due dei quali sono designati dal Consiglio provinciale. Che coincidenza, vero?
Cosa accade dopo che è stata effettuata questa nomina? Lo scenario si fa quasi drammatico: «La decisione viene inviata al Consiglio dei ministri, che a sua volta la inoltra al Consiglio di presidenza del Consiglio di Stato, che è l’organo di autogoverno della giustizia amministrativa, per un parere determinante. Solo dopo, si arriva alla nomina con un decreto del Presidente della Repubblica, controfirmato dai vari ministri competenti.» Davvero una procedura snella!
Ma non ci fermiamo qui! Come funziona realmente questa norma, ci si chiede. Postal spiega con una pacata vis polemica: «Il senso della norma è che oltre ai magistrati di carriera, nominati dal Consiglio dei ministri, devono esserci anche alcuni che conoscono gli ordinamenti vigenti in quel territorio. Ah, che concetto affascinante di “competenza”!
Insomma, ciò che ci troviamo di fronte è un intricato groviglio di opportunismi, legami personali e normativa che emerge più da un romanzo che da un sistema giuridico trasparente. Perché alla fine, chi ha bisogno di integrità quando puoi avere una bella rete di connessioni?
Le leggi locali e lo Statuto speciale, un argomento che farebbe addormentare anche il più intraprendente degli energumeni. Si sa, il Tribunale regionale di Giustizia amministrativa deve passare in rassegna i ricorsi dei cittadini contro gli atti della pubblica amministrazione, che, ricordo, è quell’entità che spesso agisce come se fosse sotto l’effetto di una sostanza psicotropa. E chi sono i giudici, vi chiederete? Magistrati ordinari, ovviamente! Ma la maggior parte di loro non proviene dai territori e cambia frequentemente, come il meteo primaverile. Ma non temete, sono assistiti da giudici locali, nominati dal Consiglio e che, ironicamente, sono freschi del posto e brigate con scadenze di nove anni! Dopo di che, via, un’altra infornata di ignari che provano a districarsi tra leggi e norme.
Ora, con la rottura di ieri, ci chiediamo: sarà possibile modificare questa norma? Non esiste nemmeno una discussione seria al riguardo, solo un battibecco di dottoresse – che, ammettiamolo, non ha mai risolto un problema. Ma non preoccupatevi, la norma è di quelle solide, una vera roccaforte della Costituzione. Se non fosse così, immaginate i magistrati di oggi tutti di carriera, sicuramente tutti pieni di entusiasmo e compassione.
Ritornando al Consiglio provinciale, il dibattito suscitato dalle opposizioni è giustificato? Certo, perché chi non avrebbe voluto avere un professore universitario di ruolo, un magistrato o un dirigente pubblico sotto il proprio braccio? All’interno di questi requisiti, il Consiglio si muove come un salmone in una piscina piena di ostacoli, decidendo in base al proprio regolamento interno. Elezione? Necessitiamo di quella fatidica maggioranza, e sorpresa! È stata raggiunta. La legittimità? È roba ordinaria, chi ha i voti dirige il balletto.
Ma quali sono i rischi politici, vi sarete chiesti? La faccenda è semplice: tre giorni fa i consiglieri si sono riuniti con un clima di collaborazione, che perfino un cactus avrebbe invidiato. Ma ovviamente, come nel peggior film drammatico, il clima è esploso. Il vero rischio? La frattura tra maggioranza e opposizione su problematiche che dovrebbero riguardare tutti. Ricordate: il magistrato è l’arbitro in questa partita di scacchi, non il pezzo da sacrificare.
A cosa potrebbe portarci questa situazione? Una prassi consolidata che si tramuti in conflittualità, ottima per i tabloid ma deleteria per l’istituzione. Estrarre la spada e combattere non è proprio il modo migliore per gestire l’Autonomia, che ha quelle piccole responsabilità verso i cittadini trentini, che, poverini, sono nelle mani di Provincia e Regione come un cane in attesa di essere scelto in un rifugio.
Che cosa auspico? Magari una ripresa del clima pacifico che ha portato al parere sul disegno di legge costituzionale. Un aproximativo di collaborazione che coinvolga tutti, non solo i soliti noti. Questo episodio ha segnato un periodo difficile, ma cosa sono un paio di battibecchi rispetto a un’intera era? Prepariamoci a vedere cosa riserverà la settimana prossima, quando ci sarà il parere finale sullo statuto… se non ci saranno già scoppi di guerra nel frattempo.


