Giorgio Gori, eurodeputato del Partito Democratico e già sindaco di Bergamo, ci regala un capolavoro di pragmatismo degno di nota: «Non ho mai visto un sindaco uscente che debba fare le primarie». Come a dire, perché complicarsi la vita? Ricandidare Stefano Lo Russo a sindaco di Torino nel 2027 è così scontato che persino l’idea di metterlo in discussione suona bizzarra. Nel frattempo, i noti “schleiniani” di ferro, proclivi a far a brandelli ogni certezza, sussurrano alle spalle, forse sperando di eliminare quel fastidioso “corpo estraneo” dentro il partito dem: Lo Russo. Ma Gori non ci sta e, dopo aver difeso a spada tratta il governatore toscano Eugenio Giani («Ha lavorato bene»), chiude anche la porta a ogni slam contro Lo Russo: «Sarebbe abbastanza bizzarro non ricandidarlo. Non andrei a cercarmi problemi».
Passiamo alla questione del momento, il tanto agognato campo largo con il M5S. È un’idea ormai inevitabile secondo Gori? A livello nazionale, certo, scrive lui con la saggezza di chi ha già visto troppe repliche: il campo largo è uno “schema difficilmente schivabile” se davvero vogliamo una “alternativa” credibile per governare il Paese. Ovviamente, l’amore si costruisce solo se si condividono i “principi fondamentali”. Tradotto: si stia insieme sì, purché non si litighi troppo.
E per le piccole cose quotidiane – ovvero le alleanze locali? Qui la melodia cambia leggermente. Gori ci ricorda la sua carriera da sindaco di Bergamo (due volte, tanto per ribadire il concetto) e racconta la favola di aver vinto senza alleanze con i grillini. Quindi, i patti locali possono benissimo fare a meno del grande abbraccio nazionale con i 5 Stelle. Peccato che, come spesso avviene, la realtà politica preferisca ribaltare le favole.
Infine, l’epico rilancio sull’eventuale sacrificio degli attuali amministratori dem per far spazio alle intese con il Movimento a 5 Stelle. Ovviamente, detto con la bocca piena di orgoglio (e di opportunismo): «Il Partito Democratico è di gran lunga il primo partito della coalizione larga, e ha il diritto di rivendicare il lavoro dei propri amministratori». Come dire, chi fa le scarpe rischia una scenata bella e buona da parte del partito majoritario. Sacrificare i propri è come lanciare una bomba dentro casa.
Resta poi da vedere come questa ricetta politicamente epica si tradurrà nella prossima tornata elettorale, ma intanto Gori ha messo le cose in chiaro: non disturbare il manovratore, soprattutto se si tratta di sindaci uscenti. Sembra quasi che l’arte della politica sia diventata uno spettacolo di equilibrismo su trampoli e reti di protezione, dove ogni passo falso viene evitato con cura maniacale.
Il partito di Conte non ha perso tempo e si è subito catapultato all’attacco, come se non avesse altre grane da risolvere, commentando la vicenda che coinvolge il sindaco Beppe Sala. Con la solita delicatezza da manuale, ha dichiarato che è “vicino a Sala” perché, ovviamente, “nessuno può mettere in dubbio la correttezza del suo operato”. E qui arriva la parte più ironica: pare che nessuno debba nemmeno osare criticare quelle politiche urbane che, grazie a Sala, avrebbero trasformato Milano nell’unica città europea degna di questo nome in Italia. Contraddizioni? Certo che sì, ma si sa, nel Pd l’importante è rivendicare con orgoglio i risultati, dimenticando che un avviso di garanzia non è una condanna. Anzi, ci tengono a ricordarci che il 75% degli indagati alla fine risulta innocente. Una statistica confortante, no?
Passando alle fatiche del Pd, il protagonista ha fatto un vero e proprio tour da star tra quattro aziende torinesi: Altec, Thales Alenia, Sea Marconi e Lavazza. Accompagnato da nomi altisonanti come Stefano Bonaccini, il sindaco Lo Russo e il consigliere regionale Daniele Valle, l’evento è stato descritto come il “tredicesimo capitolo” di un endless tour tra le industrie del Nord. Il motivo? Semplice: da vicepresidente della commissione industria all’Europarlamento, il must è ascoltare i produttori, recuperare consensi e, soprattutto, smontare quel cliché che vuole il Pd completamente disinteressato al mondo industriale.
Le imprese visitate? Un tripudio di vitalità, dicono, dal settore aerospaziale all’informatica fino al cibo. Ah, ma chiaramente siamo a Torino, territorio notoriamente immune da difficoltà economiche e industriali – o almeno così sarebbe bello pensare. Invece le aziende dell’automotive, specialmente quelle sotto l’egida di Stellantis e il suo indotto di 700 aziende, continuano a lamentarsi per crisi energetica, costi alle stelle, e quel dettaglio insignificante chiamato “dazi USA”. Ma non temete, queste aziende sono “piene di voglia”, pronte a scommettere sull’innovazione (sempre che l’Europa glielo permetta).
E qual è la risposta politica a tutto questo? “Serve più Europa”, ovviamente. Un mantra ripetuto come un disco rotto, mentre si osserva l’esercito di Stati membri europei così unito e armonioso da sembrare più un gruppo di bambini litigiosi che una superpotenza. Tutti adorano citare il “rapporto Draghi”, che propugna investimenti mirabolanti per accelerare la transizione ecologica e digitale, ma incredibilmente nessuno ha ancora pensato di metterli in pratica. Risultato? Un bilancio europeo con stesso identico perimetro di sette anni fa, come se fossimo fermi al palo, a contemplare il vuoto.
Fantasie Verdi e Decarbonizzazione Contorta
Passiamo alla ciliegina sulla torta: la transizione green e il bando dei motori endotermici, modello 2035. Come reagisce il Pd in questo scenario perfetto? Naturalmente affermano che l’obiettivo della decarbonizzazione è sacro e inviolabile, ma… ma esistono margini per “maggiore flessibilità”. Un check qui, una riflessione là, e soprattutto la constatazione che le imprese non hanno affatto una voce unitaria, come se quel famoso “goal” verde fosse una barca alla deriva. E mentre le sanzioni sulle emissioni si ammorbidiscono un po’, si butta lì l’ipotesi di recuperare motori ibridi e plug-in, magari con qualche libertà in più. Senza, ovviamente, mettere in discussione l’obiettivo del 2035, perché è bello avere sogni e obiettivi, anche se poi si vanno a frantumare di fronte ai comodi ripensamenti.