Giorgetti suona la sveglia all’Abi: finalmente le banche vengono chiamate a fare qualcosa

Giorgetti suona la sveglia all’Abi: finalmente le banche vengono chiamate a fare qualcosa
Riscrivi il titolo: Il governo sfida le banche: tornate a fare il vostro mestiere o addio fiducia Riscrittura dell’articolo in italiano, formattato come richiesto:

Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti lancia un messaggio che suona più come un ultimatum agli istituti di credito italiani: le banche devono finalmente guadagnarsi e mantenere la fiducia dei risparmiatori, perché, sorpresa, anche lo Stato ha fatto la sua parte nel tutelare il risparmio e sostenere l’economia reale. Secondo lui, però, per affrontare le sfide attuali non basta più andare ognuno per conto suo; serve un sistema integrato, una squadra che comprenda Governo, Autorità di Vigilanza e banche stesse.

Nel corso dell’Assemblea annuale dell’Associazione Bancaria Italiana a Milano, il ministro ha chiesto alle banche di “tornare a fare le banche”: cioè raccogliere, proteggere e prestare il denaro, recuperando il buon vecchio margine d’interesse. Evidentemente, per Giorgetti non è poi così divertente vedere gli istituti di credito così presi dalla gestione patrimoniale e dalle operazioni finanziarie complesse, tanto da aver dimenticato la loro funzione originaria.

Lamentele a parte, ha sottolineato che negli ultimi anni, nonostante un indubbio rafforzamento patrimoniale e organizzativo, i prestiti alle imprese si sono drasticamente ridotti quasi di un terzo dal 2011. In pratica, meno credito reale per le aziende e più speculazioni finanziarie, come se fosse un investimento molto più trendy.

Giorgetti non riesce a trattenersi nemmeno su un altro capitolo dolente: la scarsa reattività delle banche nel remunerare i risparmiatori. Dice che l’adeguamento dei tassi sui conti correnti è “sintomatico” di questa necessità di un approccio più proattivo, ma finora le banche italiane hanno scelto di “giocare di rimessa”. Tradotto: meno interessi per chi mette i soldi in banca, più utili per gli azionisti.

Ricorda inoltre che gli eccezionali guadagni degli azionisti negli ultimi due anni sono stati resi possibili grazie alle garanzie pubbliche concesse durante la crisi Covid, quasi come un regalo di Stato a fondo perduto per una finanza che ha preferito arricchirsi anziché investirsi nella solidità del sistema.

Da questa analisi nasce una domanda retorica: non siamo finiti in un eccesso di “finanziarizzazione”, dove si preferisce speculare a scapito della funzione primaria della banca? Non sarebbe stato – e non lo sarebbe tuttora – più saggio reinvestire una parte di quei profitti per rafforzare le basi patrimoniali, così da essere pronti ad affrontare più efficacemente i prossimi sconquassi economici, i rapidi cambiamenti geopolitici e tecnologici?

Il ministro accenna infine a quel gioco del risiko finanziario che tutti fingono di ignorare, ma senza nominarlo direttamente. Chiarisce che il governo non si preoccupa della nazionalità di chi gestisce le banche, ma solo della loro capacità di svolgere il compito di istituti “veri”. E se la “biodiversità” bancaria venisse meno, con istituti troppo concentrati, a farne le spese sarebbero soprattutto le piccole imprese, che rischiano di venire tagliate fuori perché ritenute meno trasparenti e lasciate a se stesse se le banche non sono radicate nei territori.

Secondo Giorgetti, in un mondo che corre sempre più verso l’intelligenza artificiale, sarà la fiducia e il fattore umano a fare ancora la differenza. Peccato che, finora, proprio quelle banche che dovrebbero inspirare fiducia sembrano impegnate a dimostrare il contrario.

Se pensavate che la spesa per tecnologie innovative fosse una priorità scatenata da investimenti faraonici, preparatevi a restare delusi. Solo 901 milioni per il biennio 2023-2024: una cifra così risibile da far sembrare la parola “investimento” un semplice scherzo, specialmente se confrontata con gli utili stratosferici accumulati e i dividendi che volano più alti dei sogni di qualsiasi start-up.

Per quanto riguarda la tanto decantata economia italiana, il quadro è “solido”, parola di Giorgetti: un timido +0,3% del PIL nel primo trimestre 2025, una disoccupazione scesa al 6,5% (sei e mezzo, come il voto in terza media) e un’inflazione all’1,6%. Insomma, acqua fresca tiepida per chi aspettava fuochi artificiali.

Giorgetti ha avuto la magnanimità di avvertirci: non è il caso di stappare lo champagne. Anzi, con tono da saggio monaco tibetano, ha ricordato che quando va un pochino meglio, “il primo compito di ogni persona seria è delimitare e inquadrare queste cose nelle circostanze, che vanno sempre riconosciute come relative.” Insomma, niente esaltazioni gratuite.

E quali sono queste “circostanze” che ci dovrebbero far trattenere fiato e speranze? Ma ovviamente i “guai” enormi che stiamo attraversando: dazi, riarmo, rivoluzione digitale e demografica, perché dal secondo dopoguerra non avevamo mai avuto così tante “sfide” tutte insieme, come a volerci mettere alla prova con un quiz impossibile senza soluzione.

Ovviamente, non poteva mancare il tocco finale da morale, che a chiunque segua un minimo di realtà appare come una perla di ironia involontaria: la stabilità dell’Esecutivo, rafforzata da un supporto quasi triennale, rappresenta un “fattore immateriale” da beneficare, e su cui il sistema finanziario nazionale può addirittura contare. Come no, qualcuno potrebbe quasi pensare che il “fattore immateriale” sia un codice segreto per “abbiate fiducia, ma non troppo”.

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