Ah, la mitica Europa che decide di proteggere il suo sancta sanctorum dell’acciaio, come se fosse l’ultima roccaforte di un’industria in declino. E cosa succede? Le grandi case automobilistiche, quelle stesse che avrebbero dovuto ringraziare per ogni singolo pezzo di metallo che ricevono, si ritrovano a dover affrontare tariffe che l’Unione Europea ha deciso di aumentare a dismisura. Chi l’avrebbe mai detto: proteggere il mercato interno rischia di affondare sul serio l’auto europea. Fantastico!
La Commissione Europea, con la solita magnanimità, ha annunciato l’intento di aumentare i dazi sull’acciaio e ridurre drasticamente le quote di importazione, il tutto nella splendida utopia di “offrire una protezione forte e permanente” all’industria siderurgica del Vecchio Continente. Traducendo: tariffe sui pezzi di acciaio impazzite e un tetto alle importazioni praticamente dimezzato rispetto al 2024. Così, chi dovrà pagare? Ovviamente i produttori auto. Ma loro finalmente potranno dire di vivere felicemente senza acciaio straniero, vero?
La risposta delle industrie automobilistiche europee? Un applauso sarcastico. L’indice Stoxx Automobiles and Parts ha chiuso la giornata con un -2,1%, impennandosi verso il fondo della classifica regionale, dimostrando come questa splendida idea della Commissione sia tutt’altro che ben accolta. D’altronde non è uno scherzo: meno acciaio a buon prezzo significa solo un’altra montagna di costi aggiuntivi e burocrazia per un settore già alle prese con sfide notevoli.
I fari puntati sugli industriali dell’auto
L’associazione europea dei produttori di automobili, ACEA, ovvero la voce di chi deve pagare e ringraziare, ha espresso un malcontento perfettamente comprensibile: “Questa proposta va oltre il limite,” tuona Sigrid de Vries, direttore generale di ACEA. Secondo lei, i costruttori europei acquistano circa il 90% dell’acciaio direttamente sul suolo europeo, e il vero problema è l’”impatto inflazionistico” che queste tariffe creeranno sui prezzi interni.
Continua de Vries, con una saggezza degna di un saggio del Consiglio: “Proteggere un’industria come quella dell’acciaio è necessario, ma i parametri proposti rischiano di isolare troppo il mercato europeo.”
Insomma, non si nega il diritto alla protezione, ma si chiede una “migliore armonizzazione” tra le esigenze di chi produce e chi utilizza l’acciaio. Ma, naturalmente, questa richiesta suonerà come un’eresia a chi ha in mano i fili della burocrazia comunitaria.
Bmw e le “perle” della giornata
E mentre tutto questo accade, il mercato si diverte. Le azioni di BMW, la gloriosa casa bavarese, precipitano dell’8,3%, facendo un tuffo rovinoso verso il fondo dell’indice Stoxx 600. Sarà forse la micidiale combinazione di una crescita cinese modello lumaca e l’infausto effetto dei dazi USA a pesare come un macigno sui conti?
Rico Luman, economista specializzato nel settore trasporti e logistico della banca olandese ING, commenta il boato di BMW definendo la situazione “deludente” e una chiara conferma delle difficoltà che incombono sul settore auto europeo.
Durante la presentazione dei risultati del secondo trimestre, BMW mostrava ancora un certo ottimismo nel tenere botta sui margini, ma oggi quel candore sembra svanito come neve al sole. Sembra infatti che il carro del buon umore si sia decisamente fermato altrove.
Non è certo da meno la performance di altri colossi: Mercedes-Benz Group e Volkswagen cedono attorno al 2%, Renault lascia sul campo quasi il 2%, mentre Stellantis, reduce dalle strade di Milano, si prende un modesto tonfo dell’1,2%.
Oltre oceano, le cose non vanno molto meglio: Ford perde lo 0,7%, mentre General Motors rimane sostanzialmente stabile, forse ancorata al suo galleggiamento a stento.



