«Nella primavera del 2017, mentre ero là, con il mio bel titolo di presidente del Consiglio, decisi di far visita al neoinvestito Presidente Trump, che si godeva il suo primo mese nella Casa Bianca. L’Italia era alla guida del G7, un onore che ci fa scegliere i colori di quel grande evento. Mentre chiacchieravo con il grande uomo, nell’intimità di un incontro a tu per tu, lui si lanciò in una di quelle domande impossibili: come funzionano gli incontri in Vaticano? Ora, chi non lo saprebbe? Ma a quanto pare, Trump non ci era mai stato e vacillava all’idea di andarci. Diciamo che aveva già avuto esperienze non proprio idilliache con il nostro Papa durante la campagna elettorale, dove qualche frecciatina era volata. Inutile dire che gli fornì una spiegazione che sicuramente avrebbe potuto dare anche un bambino di cinque anni. Dopodiché, nel giardino delle Rose, nel classico stile da reality di Trump, annunciò che avrebbe visitato Papa Francesco a Roma. Ed ecco che diventò la notizia del giorno, come se avesse appena svelato il segreto di Fatima.
Paolo Gentiloni è attualmente a Washington, dove partecipa agli annuali incontri del Fondo Monetario Internazionale, come co-presidente della task-force dell’ONU sul debito. E indovinate un po’? Tutti gli porgono le condoglianze, come se fosse deceduto un dignitario di alto rango. «Vista dall’America, la Chiesa cattolica è prima di tutto romana e italiana», una vera rivelazione che avrebbe scioccato anche il più ottuso dei turisti americani.
Durante l’arco del pontificato di Francesco, tranne nei periodi in cui non ha potuto, Gentiloni ha indossato i suoi vari cappelli ufficiali, da quello di ministro degli esteri a quello di premier, fino a commissario europeo. Ha avuto modo di incontrare il Papa molte volte. L’ultima, in febbraio, quando, insieme a una ventina di illustri signori (per non dire “notorietà deresponsabilizzate”), c’erano anche nomi altisonanti come la regina di Giordania, Mario Draghi, Liliana Segre e Antonio Tajani: «Era molto affaticato, ma venne a salutarci uno per uno». Diciamolo, ci ha negato anche solo l’ombra di un selfie per il nostro Instagram.
Che tipo di Pontefice è stato Francesco? «È stato il primo Papa globale. Nell’epoca dei nazionalismi ruggenti, ha avuto il coraggio di andare controcorrente, globalizzando la Chiesa in un modo che, a mio avviso, è irreversibile. E poi c’è l’incredibile dialettica tra il suo essere profetico e il mostrare una compassione cristiana verso i politici», un vero tour de force emozionale, non c’è che dire.
Ma i politici non venivano risparmiati dalle sue frecciate taglienti. «Certo, ma non era…» ecco che ci inizia a mancare la chicca finale. Ovviamente, che cosa potremmo mai aspettarci da un Papa che osava criticarli? Dopotutto, non sono mica loro i veri leaders, giusto?
Che dire di un Papa che ha vissuto con il disprezzo di chi non si allinea al suo smisurato ideale di pace, disarmo, clima, e migrazione? Certo, il suo messaggio era tanto radicale quanto profetico, una vera novità in un mare di ovvietà politiche. Ma, oh, non gli sfuggiva minimamente la complessità della politica! Anzi, il suo approccio ai politici era di una compassione cristiana palpabile, quasi volesse abbracciarli e portarli in un viaggio di redenzione. La sua radicalità, tuttavia, è stata un’arma a doppio taglio: ha sollevato più di un dubbio.
Qual è, dunque, la sua eredità principale? Ha conferito alla Chiesa una dimensione globalmente percepita, mentre prima era più o meno ignorata. Ci siamo chiesti: perché mai andare in Mongolia, un posto con così pochi cattolici? La risposta è semplice: per dimostrare la **globalità** del messaggio della Santa Romana Chiesa. A differenza dei suoi predecessori, che sembravano prigionieri dell’**Occidente**, Francesco ha cambiato le regole del gioco con i suoi discorsi, i suoi viaggi e le nomine cardinalizie.
Ma non possiamo ignorare il forte legame di Francesco con l’Europa. Tre discorsi hanno segnato indelebilmente il suo pontificato: quello a Strasburgo nel 2014, il Premio Carlo Magno nel 2016, e il discorso del 24 marzo 2017, quando ha accolto i capi di stato e di governo dell’UE per il sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma. È difficile dimenticare quell’evento, vero? Francesco è stato incredibile nel riconoscere l’identità europea, intrappolata in quel bel concetto di “umanesimo europeo”. La sua visione dall’esterno, come quella di un europeo migrante o di un esploratore alla Magellano, è stata pura poesia politica.
Come è stato accolto in quell’occasione? Ah, un incontro cerimoniale da manuale! Un documento comune che si firmava, tre appuntamenti: Campidoglio, Quirinale, e Vaticano. E indovinate quale visita è rimasta nel cuore dei leader europei? Esattamente quella dal Papa. Ho spesso discusso di questo con Macron e altri colleghi. Oggi, più che mai, capiamo l’importanza del progetto europeo grazie a Francesco, in un periodo in cui la necessità di un humanismo europeo è innegabile.
Passando al Conclave, che aspettative ha? Ah, non sono espertissimo in queste dinamiche! Ma lasciami fare una riflessione: all’interno della Chiesa c’è una profonda opposizione alle scelte di Francesco, soprattutto da parte di frange del clero e dell’opinione pubblica in paesi come gli Stati Uniti, il paradiso degli amanti di Trump. È un paradosso, non trovate? I due paesi più controversi per la figura di Francesco sono proprio negli USA e in Argentina, dove si arrovellano su se sia un Papa peronista o meno. Ebbene, Francesco s’è sempre tenuto ben lontano dall’utilizzare la sua immagine per giochetti politici.
Ci sarà mai un Papa italiano? Ah, che bello pensarlo, ma alle fine poco importa: la Chiesa globale e la Chiesa di Roma sono i veri sinonimi qui, indipendentemente dalla nazionalità del futuro Santo Padre. Certo, un Pontefice italiano sarebbe una bellissima novità, non posso negarlo, ma non ho indizi per fare previsioni. Tuttavia, dobbiamo riconoscere la fortuna di noi politici contemporanei di aver avuto l’onore di incrociare il cammino di Francesco.
E per quanto riguarda le polemiche in Italia sulle celebrazioni del 25 Aprile e i cinque giorni di lutto? Dobbiamo assolutamente trarre ispirazione dal presidente Mattarella, che sarà a Genova per celebrare gli 80 anni dalla liberazione dal fascismo. Insomma, un anniversario che non può affatto essere dimenticato, per carità!
È davvero incredibile come la politica possa trasformarsi in una commedia dell’assurdo, non trova? In un mondano giro di eventi, sembra che ogni giorno il palcoscenico politico offra nuove esibizioni, degne dei migliori teatrini. Immaginate, dopo aver seguito un notiziario, di trovarvi in una base NATO… con una tazza di caffè in mano, dubbiosi riguardo al futuro dell’umanità.
Recentemente, c’è stata una scandalo riguardante i fondi destinati alla cultura. Non sorprende che le cifre parlino chiaro: le istruzioni non erano solo confuse, erano completamente assenti. Eppure, incredibilmente, i nostri governanti sono riusciti a giustificare ogni decisione, come se avessero padroneggiato l’arte della retorica senza alcuna logica di fondo. Aspettatevi un comunicato che dichiara che il tutto era pianificato… ma solo nel loro amato centro di comando.
Parole vuote dei leader
In questo magnifico teatro dell’assurdo, i leader non perdono tempo nel rilasciare dichiarazioni che superano ogni limite di contraddizione. Giuseppe Conte, ad esempio, ha recentemente affermato: “Solo ascoltando il popolo possiamo prendere decisioni efficaci.” Naturalmente, questo non ha impedito che i cittadini rimanessero completamente all’oscuro su cosa stesse realmente succedendo. La prossima volta che qualcuno si lamenta, ricorda: sono stati ascoltati, o almeno così pretenderanno di farci credere.
Ma non fermiamoci qui! Le promesse di trasparenza si susseguono come le repliche di una soap opera: un episodio dopo l’altro, ripetendo sempre le stesse trame. E mentre i cittadini cercano di comprendere dove siano finiti i loro soldi, i nostri illustri politici si ritrovano in riunioni… molto distanti dalla realtà quotidiana. Così, mentre il paese brucia, l’unico a parlare di fuochi d’artificio è il ministro delle finanze.
La gloriosa arte del fingerci
È chiaro a tutti che questa incapacità di affrontare la realtà non è solo una caratteristica, è un vero e proprio marchio di fabbrica di chi siede nei palazzi del potere. Si va dal rinviare le decisioni alle celebrazioni di succès dal sapore agrodolce, sempre in attesa di una chiamata dal buonsenso. E chi mai l’ha visto, il buonsenso? Forse era in vacanza quando il nostro governo ha deciso di fare della nostra vita un puzzle irrisolvibile.
Così, mentre ci affanniamo in questa spirale paradossale, ci chiediamo: quanto lontano possiamo andare? Non si può certo ignorare il fatto che anche ridere è diventato un esercizio difficile quando ogni giorno si presenta una nuova assurdità preconfezionata dai nostri amati politici. Un inno alle contraddizioni e alle illogicità, il tutto presentato con grande orgoglio e una dose di ipocrisia che farebbe impallidire un attore di Hollywood.