Giovanni Maria Iannucci, generale di corpo d’armata di 60 anni originario di Varese, non è solo un nome altisonante buttato lì, ma il nuovo capo del Covi da gennaio, quel Comando operativo di vertice interforze che coordina le missioni di quasi 8 mila militari italiani in giro per il mondo. Attualmente lo troviamo impegnato in una conferenza con le truppe in Kuwait, Libano, Iraq e nel Mar Rosso, perché la sicurezza globale si costruisce a suon di chiamate Zoom e WhatsApp, evidentemente.
Alla domanda se siamo davvero alla fine della guerra, quel brillante oracolo militare risponde con la solita prudenza da manuale: «Il presidente Trump aveva detto che in 24 ore si sarebbe capito se la tregua tiene o meno. Ora aspettiamo e vediamo. Se le schermaglie tra Israele e Iran restano su livelli da litigata da bar senza incendi, forse potremo vivere il miracolo di una pace stabile nella regione». Tradotto: se nessuno accende la miccia, magari passa l’estate senza guai – cosa doppiamente strana considerando la storia della zona.
Ma dunque, quali gli effetti del bombardamento americano con i super B2 sulle presunte fabbriche nucleari di Teheran? «Non abbiamo ancora la certezza assoluta», ammette il generale, lasciandoci tranquillamente nel sospetto, «ma pare che le bombe anti-bunker GBU-57 abbiano colpito e danneggiato il sito di Fordow più volte». Tradotto in soldoni, si è cercato di schiantare qualcosa di grosso e custodito come fosse il segreto di Stato, e forse qualcosa è andato storto. O no.
Nel frattempo il ministro della Difesa Guido Crosetto ha assicurato che i soldati italiani schierati in Kuwait e Iraq stanno “al sicuro”. E il comandante non si sottrae al rituale rassicurazione, quasi facesse notte insonne: «Aggiorniamo costantemente le attività nelle aree più calde perché la sicurezza di questi soldati è la nostra ossessione, il nostro tormento, roba che non si dorme la notte». Si spera che la prossima volta il Ministro si unisca al coro, tanto per allineare lo stato d’ansia ministeriale a quello militare.
E lo stato d’animo degli eroici militari nostrani? «Sereni, consapevoli, preparati. Come sempre» risponde in perfetto stile militare, dove la parola d’ordine è mai ammettere la fatica, i dubbi o, Dio non voglia, la paura. Del resto, soldato che trema non serve neanche a fare la guerra… o almeno così ci piace raccontarci.
Il ruolo della “pace” secondo l’alto comando
Quando si parla di pace, qui in Italia adoriamo cospargerci di gloria: le nostre forze sono impegnate in operazioni di peacekeeping, e qualche volta anche di peace-enforcing, per quanto ciò possa suonare come il classico ossimoro da divo del cinema d’azione. Insomma, facciamo la “guerra della pace”, ma con la faccia pulita, ovvio. Dimentichiamo un attimo che queste missioni spesso significano presenza militare in zone dove la pace è un optional e l’instabilità la norma, ma il copione vuole che noi siamo gli angioletti portatori di stabilità regionale (con il nostro rispettabile armamentario, ovviamente).
Nel frattempo il comandante Iannucci continua diligentemente a tessere il pentagramma di una sicurezza globale fatta di coordinamenti, aggiornamenti e rivoluzionarie modalità di “non dormire la notte”, che sembrano più un ricordo romantico del soldato stanco che dell’efficace comando di guerra. Ma, si sa, il terrorismo è sempre dietro l’angolo e, specialmente in tempi come questi, giustifica ogni eventuale ansia.