Garlasco si sveglia con perquisizioni all’alba: i fantasmi degli ex pm e parenti di Sempio sotto i riflettori

Garlasco si sveglia con perquisizioni all’alba: i fantasmi degli ex pm e parenti di Sempio sotto i riflettori

Ah, il caso di Garlasco, quel classico esempio di giustizia che sembra uscita da una soap opera giudiziaria. Quindi, come se non fosse abbastanza complicato, il Tg1 ci informa che dalle prime luci dell’alba i solerti carabinieri e la Guardia di Finanza stanno scorrazzando di casa in casa, mettendo sottosopra gli appartamenti di ex investigatori, inquirenti e dei parenti del buon Andrea Sempio, attore mai troppo secondario in questo intreccio di misteri e drammi.

La colpa? Pare che ci sia un’accusa di corruzione in atti giudiziari che pende sul capo di Mario Venditti, ex procuratore di Pavia, quello che nel 2017 ha deciso di chiudere il caso su Sempio. Eh sì, archiviare una storia così ingarbugliata senza necessariamente risolverla sembra quasi un dettaglio trascurabile.

Nel frattempo, si riapre il teatrino: oggi nuova udienza, dove i protagonisti si confronteranno davanti alla giudice delle indagini preliminari di Pavia, Daniela Garlaschelli, in quello che sicuramente sarà un duello degno di un film giallo d’autore. Al centro della scena, la richiesta di proroga dell’incidente probatorio invocata da due periti di tutto rispetto, la genetista Denise Albani e il dattiloscopico Domenico Marchigiani.

Entrambi immersi fino al collo nell’analisi delle ormai mitiche tracce biologiche prelevate da quella villetta di via Pascoli – il luogo del delitto – e delle impronte lasciate su oggetti che, se potessero parlare, sicuramente urlerebbero la loro storia, dalla spazzatura rimasta integra per 18 anni ai sacchetti di biscotti e cereali.

Perché, si sa, la lentezza e la meticolosità sono ingredienti essenziali di questa saga infinita. La proroga richiesta servirebbe a prendere tempo, indagare meglio quelle impronte sull’Estathè e altri oggetti – magari portate per il confronto da un altro esperto di impronte, per evitare errori da dilettanti. Poco importa se intanto la giustizia aspetta come una suocera impaziente.

C’è poi un capitolo a parte dedicato al Dna, che tra contaminazioni, garze impolverate e sospetti vari sprigiona più mistero di quanto ne abbia mai fatto. La Procura ha ammesso la contaminazione con materiale biologico di un cadavere trovata sulla garza usata per prelevare il Dna dalla bocca immortale di Chiara Poggi. Insomma, non proprio il massimo della precisione nei protocolli.

E come se non bastasse, tutta l’attenzione è puntata sui frammenti delle unghie della vittima, dove è stato rinvenuto un Dna maschile. Una perizia ordinata dalla Corte d’Assise d’Appello di Milano – al genetista Francesco De Stefano – ha appena fornito dati grezzi che, mescolati con quelli raccolti dai RIS nel lontano 2007, aspettano solo di essere analizzati dalla diligente Albani.

Certo, sarebbe il minimo escludere che il taglio delle unghie sia stato fatto con una forbicina “contaminata”, considerate le premesse. Perché non ci stupiremmo se anche qui saltasse fuori qualche scappatoia più o meno pulita.

Ancora tra contaminazioni, ricorsi e perizie infinite

Insomma, una nuova puntata della telenovela giudiziaria che, se fosse stata una serie tv, la gente l’avrebbe già abbandonata per noia o irritazione. Ma qui siamo invece in Italia, terra fertile di processi che si trascinano per anni e anni con personaggi sempre pronti a ribaltare la scena, a mettere in dubbio la verità acquisita, a chiedere altri tempi per non svelare nulla o per cercare nel calderone qualche dettaglio utile a mantenere viva l’attenzione.

E non dimentichiamo il povero Alberto Stasi, condannato a 16 anni, la cui condanna si basa proprio su quelle analisi di frammenti ungueali quasi miracolosamente riuscite a trarre una sentenza definitiva. Ora, però, tutto torna in discussione. Peccato che questa macchina giudiziaria sembra fatta più per girare a vuoto che per arrivare a una conclusione definitiva.

Il risultato? Gli anni passano, le perizie si accumulano, gli avvocati trovano nuove sfaccettature, i giudici si affannano davanti a una pila infinita di carte. Intanto, quella vittima resta lì, assente e dimenticata, mentre noi assistiamo a questo teatrino senza fine di giustizia che sembra più far politica o intrattenimento che altro.

Che sia finalmente il momento di chiudere la faccenda o, invece, di continuare a far girare la ruota della giostra è una domanda che il nostro sistema giudiziario si fa sempre meno, lasciando la sensazione che il caso Garlasco sia esattamente l’esempio perfetto di come la giustizia italiana riesca a trasformare un delitto in un eterno gioco di specchi, accuse e controaccuse, tanto da far passare anni senza una risposta concreta.

Chiara Poggi, siano prove inequivocabili, salvo poi scoprire che in realtà l’esito dei test è tutt’altro che certo. Ma tranquilli, l’arte del ribaltone è in pieno svolgimento.

I protagonisti di questo giallo in salsa forense sono due: da un lato abbiamo la Procura di Pavia e la difesa del condannato, fermamente convinti che il Dna maschile trovato sia riconducibile a Sempio, lo stesso però che in un processo d’appello bis magicamente spariva come sospetto rilevante. Dall’altro, una schiera di esperti e legali che preferiscono liquidare quelle tracce come “incostanti” e “frutto di degrado”. In altre parole: scegliete voi se credere alla scena del crimine o a una scena di un film horror con effetti speciali a basso costo.

Ma la chicca arriva quando si parla dell’ormai famigerata “impronta 33“. Esclusa con la stessa eleganza di un invito a cena, perchĂ© ritenuta troppo sfilacciata per essere presa sul serio durante l’incidente probatorio, questa traccia ha fatto piĂą giri di valzer giudiziari di una star del pop in tournĂ©e. La Procura assicura che appartiene a un nuovo sospettato, mentre la difesa di Stasi – perchĂ© non poteva mancare nel cast – insiste che sia la mano di Sempio, con tanto di mischiamento con sangue e sudore. Peccato solo che i test scientifici per accertare la presenza di sangue continuino a dire “no, grazie” e che nemmeno gli stessi pm osino parlare di tracce ematiche basandosi esclusivamente su una fotografia di un muro un po’ rovinato.

Il tutto condito da un’interpretazione piuttosto creativa della scienza forense: l’intonaco del muro è stato “interamente utilizzato” per stabilire che non ci fosse sangue—letteralmente sprecando pezzi di parete come se fossero prove d’arte. Naturalmente, questa non è una metafora, ma la realtà concreta di come vengono trattati certi elementi del processo, mentre la verità continua a sfuggire come un fantasma.

La comicitĂ  involontaria delle perizie

Proprio quando si pensava che la scienza potesse portare un barlume di chiarezza, eccoci di fronte a consulenze che sembrano uscite da un romanzo giallo con troppe pagine scritte a mano libera. L’ultimo colpo di scena? La genetista incaricata dalla gip Garlaschelli aspetta di avere certezze sull’origine del Dna prima di pronunciarsi sull’attribuibilitĂ  a Sempio. E a chi darebbe torto, visto il caos delle analisi? Quindi, una volta che avremo la certezza, forse, potrĂ  dire qualcosa. Nel frattempo, tutti tacciono con la sfrontatezza di chi sa che il probabile è solo una parola utile da mettere nei titoli dei giornali.

Immaginate la scena: un Dna che può appartenere a chiunque e nessuno che si assume la responsabilità di dare una sentenza, se non quella di mantenere viva la fantasia di chi ogni giorno si appassiona a questo intricato teatrino giudiziario. Una festa senza fine, con continui ribaltamenti di fronte e interpretazioni più fantasiose delle fiction migliori.

Il paradosso della giustizia in salsa poliziesca

Che ci piaccia o no, siamo di fronte all’ennesima dimostrazione di quanto la giustizia possa trasformarsi in un circo, con acrobazie legali e salti mortali probatori, mentre il povero cittadino spettatore resta a bocca aperta, a domanda senza risposta. I tecnicismi, le analisi rinviate, le perizie che non convincono nessuno sembrano un modo elegante per dire: “Non sappiamo, ma intanto teniamo tutto in caldo.”

La morale? Nel processo a Stasi e alla presunta verità sul delitto di Chiara Poggi, la scienza è una dama volubile che cambia abito ogni volta che si accende un riflettore. E il Dna, quella prova regina che dovrebbe inchiodare al muro colpevoli o innocenti, resta un mistero sfuocato, buono solo per alimentare dubbi e sospetti mai davvero risolti.

Alla fine, l’unica certezza è che nel gioco della giustizia, tra sospetti, prove sciolte e impronte incerte, tutti fanno il loro spettacolo. E noi, in platea, aspettiamo la prossima scena, magari sperando in qualche colpo di scena meno prevedibile.

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