Follia sui titoli di Stato dopo il placet della Camera Usa al capolavoro fiscale di Trump

Follia sui titoli di Stato dopo il placet della Camera Usa al capolavoro fiscale di Trump

Il passaggio della riforma fiscale sostenuta da Trump alla Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti risveglia temuti fantasmi: il debito statunitense. E che sorpresa, i titoli di Stato si flettono sotto il peso di questa mossa geniale. Ma certo, chi non ama una bella pressione sui rendimenti? Il Treasury a 30 anni schizza al 5,15%, il che non si vedeva da un’epoca che credevamo fosse finita nel dimenticatoio: il 2007. Magari gli americani pensano che l’economia possa reggere il colpo, ma a spronare i bond esteri, come i trentennali giapponesi che ora ci deliziano con un rendimento del 3,15%, è proprio il nostro amico Trump che si è lanciato alla conquista del debito globale.

Certo, il “Big beautiful bill” è un capolavoro di promesse bellissime che gonfiano il debito. La manovra fiscale, a detta di alcuni, alza il tetto del debito statunitense di ben 4.000 miliardi di dollari. Ma scherziamo? Gli Stati Uniti hanno perso anche l’ultimo briciolo di credibilità debitoria, con Moody’s che ha tolto loro la “tripla A”. Davvero un viaggio straordinario nei meandri dell’improvvisazione economica. Gli investitori sono in preda all’ansia, sapendo che i tassi ufficiali ora non danzano più attorno allo zero come un tempo. Insomma, tra tensioni commerciali e una possibile inflazione, le banche centrali potrebbero decidere di rispolverare politiche monetarie più restrittive. E così via: tassi alti e un debito sempre più ingombrante.

Adesso, il debito degli Stati Uniti oscilla attorno al 100% del Pil, un bel traguardo, non c’è che dire, ma si prevede che intraprenda un comodo viaggio verso il 134% nei prossimi dieci anni. E chi lo sa, forse se Trump avrà modo di attuare le sue brillanti politiche fiscali espansive, questo numero potrebbe anche schizzare oltre. Gli economisti, da bravi profeti di sventura, temono che la fiducia nei Stati Uniti possa erodersi lentamente, creando un flusso di capitali in uscita che renderebbe l’equilibrio dei conti qualcosa di piuttosto difficile da raggiungere. E come se non bastasse, Paul Krugman, premio Nobel per l’economia, cita il celebre economista canadese Rüdiger Dornbusch, dicendo che “Le crisi impiegano molto più tempo ad arrivare di quanto si pensi ma poi avvengono molto più velocemente di quanto avresti pensato.” Wow, che ottimismo!

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