Fiumicino piange un’altra vittima sulle strade ma questa volta il sospetto femminicidio fa storcere il naso a tutti

Fiumicino piange un’altra vittima sulle strade ma questa volta il sospetto femminicidio fa storcere il naso a tutti

Non è detto che sia stato solo un “incidente”. Può darsi che quanto accaduto martedì scorso alla 34enne Simona Bortoletto, investita mortalmente nella zona di Isola Sacra da un’auto guidata dal suo stesso compagno, sia in realtà un femminicidio travestito da disgrazia stradale.

Sottolineiamo il condizionale, perché finora il reprobo Maggetti, al volante e con un alcoltest leggermente sopra il limite, viene inquisito solo per omicidio stradale. Dopodiché, dovrà raccontare la sua versione, ma non prima che le “indagini preliminari” facciano il loro dovere — o almeno questo si spera.

Nell’arte di indagare si includono anche le parole del figlio di 8 anni della vittima, ascoltato in modalità protetta e, immagino, accompagnato da psicologi esperti in queste tristi scenette familiari. Il piccolo era con la madre al momento del dramma e il suo racconto sarà dispositivo per capire se si tratta di un tragico incidente o di un crimine mascherato.

Ah, e ovviamente nella zona la tecnologia non è venuta in soccorso: niente telecamere di videosorveglianza. Così ci si affida alle testimonianze (e alla buona fede degli imputati, perché mai dubitarne?), al ritrovamento dei cellulari e a qualche altro accertamento il cui esito rimane ovviamente avvolto in nebbie burocratiche.

La strategia investigativa per niente scontata

È curioso osservare come tutto, nella ricostruzione del caso, ruoti intorno a un alveare di ipotesi e possibilità. Accantonata l’immediatezza del femminicidio, l’udienza si riduce a un pedissequo ricorso alla raccolta dati, come se l’abisso della violenza domestica fosse solo una triste supposizione da verificare con calma.

Nel frattempo, si assiste alla trafila standard del codice penale: alcoltest, interrogatori, referti e registrazioni, il tutto condito da una quasi-delega alla testimonianza del bimbo. Là dove la realtà vorrebbe prove immediate, invece l’inchiesta si avvale di un percorso che sembra quasi dettato dalla paura di accusare troppo presto.

Da una parte, la vittima. Dall’altra, un compagno con qualche bicchiere di troppo e la sfortuna di esser stato lui alla guida. Tra questo e la possibilità che dietro ci sia una tragedia molto più sordida, la resa dei conti si gioca sul filo di un’interpretazione giuridica alla quale la società sembra abituata.

Tra giustizia e cortocircuiti culturali

In fondo, abbiamo imparato a convivere con queste storie in cui la cronaca nera sfuma nella cronaca giudiziaria, e dove le parole “femminicidio” e “incidente” si rincorrono senza mai toccarsi davvero. Il rischio? Normalizzare l’innominabile, far passare sotto silenzio l’orrore nascosto dietro una deflagrazione stradale.

Il processo, coi suoi tempi lunghi e i suoi tecnicismi, rischia di diventare un palco dove la verità si traveste, mentre la vittima perde ogni chances di giustizia in tempo reale. E l’unica certezza, per ora, è che il silenzio delle telecamere amplifica quello della società sull’emergenza femminicida.

Se tutto andrà come deve, ci saranno gli interrogatori, le perizie, e magari potremo qualche giorno più tardi discutere su cosa è davvero successo. Nel frattempo, però, Simona resterà solo un’altra statistica troppo comoda per passare inosservata ma troppo scomoda per ricevere giustizia immediata.

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