È il solito copione da manuale che tutti conosciamo a memoria: un giovane venticinquenne proveniente dal Mali, ospite di una beneficenza tanto generosa quanto inefficiente come la onlus Fratelli di San Francesco, è stato preso in custodia per lo stupro di una diciottenne. Il delitto, consumatosi nell’oscurità tra il 30 e il 31 agosto, ha come scenografia la zona vicino alla stazione di San Zenone al Lambro, nel cuore del milanese. Naturalmente, la Procura di Lodi non ha perso tempo nel convocare una conferenza stampa per annunciare il fermo, basandosi su indizi più solidi di un castello di carte.
Al nostro eroe è stata addebitata una violenza sessuale aggravata, perché sembra che a qualche giudice interessi sottolineare la “minorata difesa” della vittima, oltre al classico elenco di lesioni di rito, come se questo completasse il quadro di un fatto tanto odioso quanto prevedibile.
La vittima, una giovane ragazza di appena diciotto anni, ha avuto la saggia idea di denunciare la mattina stessa la violenza che l’ha vista presa alle spalle mentre si dirigeva verso la stazione. Non abbastanza fortunata da evitare le violenze, è stata poi trascinata in un pulito e rilassante boschetto nelle vicinanze, dove ha subito percosse e abusi. Da manuale della cronaca nera.
Le investigazioni, con un’impeccabile coordinazione che solo l’Ufficio Procura di Lodi e i valorosi carabinieri della compagnia di San Donato Milanese e del nucleo operativo e radiomobile riescono a garantire, procedono spedite per mettere un punto a questa grottesca vicenda, come fosse un episodio isolato di un film di serie B.
La solita narrazione: accuse, diagnosi e applausi di facciata
Ci troviamo di fronte a un meccanismo studiato a tavolino: la giovane vittima riporta la denuncia tempestivamente, l’accusato viene fermato con enfasi mediatica, la stampa si ritrova il pezzo servito su un piatto d’argento per parlare di criminalità e sicurezza. Nel frattempo, com’è ovvio in queste fiabe moderne, si sottolineano le aggravanti per farci sentire tutti più giusti e severi.
Si parla di minorata difesa, si declamano i dettagli delle ferite come fossero medaglie d’onore, ma quel vero problema, spesso taciuto o ignorato, resta quasi sempre fuori dal discorso pubblico: l’incapacità di predisporre strutture e controlli che prevengano tragedie simili prima ancora che accadano.
Alla fine il copione è sempre lo stesso: un gesto spregevole, una vittima da compatire, un colpevole da condannare e un sistema che si limita a reagire a posteriori, come se questo fosse l’epilogo definitivo di una storia che invece non sembra avere mai fine.