Fermate le rotative: il cognome del marito non è più di moda, piccola comune del Ferrarese in prima linea per riscrivere la storia del 1947

Fermate le rotative: il cognome del marito non è più di moda, piccola comune del Ferrarese in prima linea per riscrivere la storia del 1947

È stata finalmente accolto l’azzardato appello proveniente da Vigarano Mainarda, quel ridente paesino della provincia di Ferrara, dove si è deciso di liberare le donne dall’imbarazzante obbligo di portarsi appresso il cognome del marito sulle liste elettorali. Che tempismo, giusto in occasione della festa delle donne! La proposta, lanciata con grandissimo clamore l’8 marzo, ha ricevuto l’approvazione il 16 aprile in Senato, tutto grazie a un’indignata cittadina, Marina Contarini. Chi l’avrebbe mai detto che un’iniziativa potesse prendere piede da una chiacchierata con la consigliera comunale Agnese De Michele?

Il vero obiettivo di questa ghirigori legislativa era quello di modificare la Legge 1058 del 1947, che, nel suo inimitabile stile del tempo, imponeva nostalgia e sottomissione, esigendo che le donne sposate e persino le vedove dovessero portare il cognome del marito accanto al proprio. Un bell’ossimoro, non credete? Ci troviamo nel terzo millennio e ancora a parlare di cognomi maschili sulle liste elettorali!

Contarini, nella sua esposizione, ha descritto un incidente con un certo brio: “Lo scorso marzo, e per la seconda volta da quando abito a Vigarano Mainarda, durante la trasmissione postale delle etichette per l’aggiornamento della tessera elettorale, la busta era indirizzata a me con il nome completo, inclusivo del cognome di mio marito, mentre il suo nome non aveva nemmeno l’onore di comparire sulla scheda elettorale o sulla mia carta d’identità!” Bravo! Immaginate la sorpresa! Ma aspetta, non era questo il punto? Che la società avesse già superato queste convenzioni arcaiche?

Ma non temete, perché l’illuminata consigliera De Michele non ha perso tempo: ha pensato bene di coinvolgere il Partito Democratico, di cui è fiera iscritta. Grazie a un impegno ammirabile della senatrice Cecilia D’Elia, la questione ha raggiunto le nobili stanze di Roma. Sorprendentemente, proprio nel bel mezzo della frenesia per le imminenti consultazioni elettorali e referendarie, la legge di conversione del Dl 27/2025, noto come Decreto Elezioni, ha ricevuto un’accoglienza calorosa. Gli emendamenti, addirittura, sono stati accolti all’unanimità dalla Commissione Affari Costituzionali del Senato. Veramente, che bel traguardo per la democrazia!

In breve, la legge prevede che il cognome del marito venga estirpato dalle liste elettorali, come se quest’onere fosse mai stato giustificato. Quindi, sia ben chiaro, le donne finalmente si ritroveranno con il loro cognome, che, incredibilmente, è quello che hanno portato prima di incappare nel giogo matrimoniale. Ma chi ha bisogno di progressi quando abbiamo tali piccole vittorie?

Ah, la bellezza delle leggi che si aggiornano al passo con i tempi! Finalmente, le donne sposate o vedove potranno avere il cognome del marito accanto al loro, così da dare un tocco di originalità alla loro identità. Ma non solo: pare che questa iniziativa voglia farci sentire tutti un po’ più inclusivi, con una smodata distinzione tra liste di uomini e donne. Ma chi ha bisogno di parità quando puoi creare un gioco di contrappesi di genere?

Le promotrici di questo storico cambiamento, De Michele e Contarini, non hanno dubbi: si tratta di un “passaggio importante sulla strada dei diritti civili”. Ma si potrebbe anche pensare che siano affette da una sorta di ottimismo eccessivo. La loro idea di abrogare disposizioni che contrastano con la dignità della donna suona quasi come un mantra che si ripete da anni, senza ottenere un grande cambiamento concreto.

La proposta, come in un film già visto, proviene dal territorio ferrarese e viene sostenuta da una miriade di associazioni femminili e femministe che, con il loro instancabile impegno, si sono battute per velocizzare questo processo di modernizzazione. Odiare la separazione delle liste elettorali in base al sesso sembra la priorità assoluta. E giustamente, perché chi ha tempo da perdere a combattere contro le discriminazioni nei diritti fondamentali?

Le due ideatrici di questo cambiamento si congedano con un auspicio per il futuro che, purtroppo, suona un po’ come un cauto “vedremo”: “Confidando nel positivo prosieguo dell’iter parlamentare”. Un’aspettativa, insomma, che di certo non è troppo ambiziosa. Con un simile traguardo inclusivo, sperano addirittura che contribuirà alla costruzione di un Paese civile e giusto, come se la giustizia e la civiltà potessero dipendere da un semplice aggiustamento legislativo.

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