Fed fa la sua sceneggiata: Trump e Powell se le suonano sul nuovo capo mentre il Paese osserva

Fed fa la sua sceneggiata: Trump e Powell se le suonano sul nuovo capo mentre il Paese osserva

La resa dei conti con la Federal Reserve è ormai dietro l’angolo. Il processo ufficiale per la nomina del prossimo governatore della banca centrale americana è partito, come annunciato dal segretario al Tesoro Scott Bessent. Ma tranquilli, Donald Trump non ha intenzione di rottamare Jerome Powell – almeno così dice, nonostante solo un giorno prima avesse spiegato che “Il governatore della Fed dovrebbe andarsene, è stato un disastro per il Paese”. E come ciliegina sulla torta, ha aggiunto sui social: “La Fed dovrebbe tagliare i tassi di tre punti, l’inflazione è bassissima, così risparmieremmo mille miliardi di dollari l’anno.” Una ricetta semplicissima, ovviamente.

Trump ha attaccato Powell fin dal suo insediamento, convinto che la Fed debba abbassare drasticamente i tassi per far “ripartire l’economia”. Peccato che i dati economici presentino per ora un quadro tutto sommato positivo, mentre la Fed teme che le guerre commerciali scatenate dalla Casa Bianca possano scatenare ulteriori pressioni inflazionistiche, fatte ancora più gravi da un costo del denaro a zero o quasi. L’ultimo dato sull’inflazione di giugno segna un aumento al 2,7%, rispetto al 2,4% di maggio, cifra che però resta sotto le aspettative degli analisti. Eppure la Casa Bianca resta fiduciosa che “la strada intrapresa sia quella giusta”.

Il mandato di Powell durerà fino al 2028, ma gli auspici di Trump sono ben diversi: spera che il governatore faccia un passo indietro prima, pur mantenendo una presenza nel board della Fed. Insomma, la mediocrità deve rimanere sul tavolo, ma cambiando faccia. I membri del board della banca centrale vengono nominati per un mandato quadriennale dal presidente degli Stati Uniti e confermati dal Senato; tuttavia, la Casa Bianca non può semplicemente azzerare la squadra a suo piacimento, a meno di “giusta causa”. E qui la questione si fa interessante: il concetto di “giusta causa” è finora stato riservato a casi di condotta più che discutibile, non a dissensi politici o disaccordi. Non esiste quindi alcuna norma che autorizzi una rimozione per le ragioni che ci aspettiamo, né alcun precedente. Eppure, l’idea che la presidenza possa manipolare apertamente la politica monetaria è l’ultimo sogno proibito per i mercati e gli investitori: uno scenario che evitiamo per non perdere la ragione e il sonno.

Jamie Dimon, CEO di JPMorgan, la più grande banca statunitense, non si fa certo problemi a ribadirlo: l’indipendenza della Fed è “assolutamente cruciale”. Il board del Washington Post non è da meno, sottolineando che l’autonomia della banca centrale è un “bene nazionale indispensabile” e che Donald Trump la sta “pian piano erodendo”, con possibili effetti negativi non solo per il Paese, ma perfino per la stessa agenda del presidente.

Dopo le dichiarazioni del segretario al Tesoro, i rendimenti dei titoli di Stato americani sono scesi, un piccolo ma chiaro segnale di mercato che scommette su un imminente taglio dei tassi. Nel 2026 scadrà invece il mandato di Adriana Kugler, membro del board della Fed, e non è irrealistico pensare che Trump provi a sostituirla con un banchiere più propenso a politiche monetarie espansive. Insomma, una partita a scacchi dove l’indipendenza delle istituzioni rischia di trasformarsi nell’ennesimo bluff della campagna elettorale.

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