Madre e padre, con due piccoli feriti dall’ironia del destino, si ritrovano a dover abbandonare la loro “accogliente” dimora a Bologna, dove lui fa il pizzaiolo. Proprio quando pensavano di aver messo radici, la Prefettura ha deciso di farli sentire nuovamente dei rifugiati, avvisandoli che devono lasciare la struttura in cui sono ospitati.
Usciti dalla Tunisia e approdati in Italia qualche anno fa, sembravano avere intrapreso una nuova vita nel bolognese, ma di nuovo si trovano a un bivio complesso: ci si aspetta che, con un solo avviso, trovino un’altra sistemazione entro tre giorni. I bimbi, poco più che neonati, potranno valutarne le opzioni, credo.
Un’alternativa, udite udite, è stata “trovata”, ma si trova a ben 1.400 chilometri di distanza, nel progetto Sai ad Agrigento, adatto per chi ama il viaggio e il brivido dell’incertezza. Chi non vorrebbe lasciare il proprio lavoro in una pizzeria di Bologna per una scappatella in un altro centro di appartenere?» È un modo bello ed elegante di svendere la dignità: la burocrazia sa come rendere tutto così affascinante.
Questa è solo una delle molte storie urlate da Plat Piattaforma, che si è unita al Coordinamento migranti e al collettivo Edera per manifestare in piazza Nettuno. L’obiettivo? Raccontare le vite “nascoste” dietro la circolare dell’aprile passato, che ha letteralmente detto a queste persone, titolari di protezione internazionale, di darsi una mossa e trovare un’altra casa prima che l’orologio scada.
La famiglia, attualmente a Pianoro, ha contattato lo sportello casa di Plat. Maria Elena Scavariello, responsabile dello sportello legale, sottolinea il dramma: il papà è l’unico lavoratore e deve ora decidere se restare senza casa a Bologna o trasferirsi ad Agrigento, dove l’incertezza sul lavoro è dietro l’angolo. Ma chi ha bisogno di un lavoro stabile quando si può godere il zigzag tra le opzioni? Davvero un “bivio” ragionato, insomma.
Un caso simile lo vivono anche nove migranti in un altro centro, il CAS di Malalbergo, che attendono con ansia di scoprire la loro sorte. Ma non preoccupatevi! La vita ha sempre delle sorprese in serbo, e queste sono le più belle, vero?
Ricordiamo tutti il fantastico sistema di accoglienza in Italia. Un vero e proprio capolavoro di organizzazione. Ma evidentemente, per l’Asp Città metropolitana, l’integrazione e i servizi sono solo miraggi, soprattutto quando si tratta di attivare percorsi seri di accoglienza. Questo è il quadro che emerge dai recenti eventi, dove tre disperati, in cerca di una soluzione, si sono presentati fin sotto il salvifico Palazzo d’Accursio, chiedendo aiuto come se fosse un’uscita da un labirinto di burocrazia.
Ma, sorpresa delle sorprese, le alternative per loro non sono mai state nemmeno prese in considerazione. E ora, dopo che i tre giorni per lasciare il CAS sono abbondantemente scaduti, si oppongono, non per tornare indietro, ma per una questione di dignità. Lo hanno detto chiaramente da Plat: “Chiediamo alla Prefettura di conoscere i numeri delle persone interessate dai decreti,” ha esclamato Scavariello, quasi come se i numeri delle persone in difficoltà fossero una novità sconvolgente.
Ma parliamo di Makan e Boureima, 38 e 25 anni, entrambi con alle spalle rispettivamente 9 mesi e 2 anni di permanenza in Italia. “Non abbiamo un lavoro e non conosciamo l’italiano”, si lamentano, come se la cosa fosse, che so io, ridicolo. “Chi può darci una casa in tre giorni, quando anche chi un lavoro ce l’ha fatica a trovare un tetto?” La loro logica è davvero sconcertante. Per loro, una casa è tutto. E, come prova di questa battaglia quasi epica, hanno ripetuto incessantemente il loro indirizzo e numero civico a chiunque avesse voglia di ascoltarli.
Insomma, benvenuti in un paese dove l’arte del ricevere è diventata un miraggio e dove, se hai bisogno di aiuto, l’unica cosa che puoi aspettarti è una caccia al tesoro burocratica. Ma non preoccupatevi, la soluzione arriverà. Magari. Prima o poi.



