Europa lieta di aprire il portafoglio: 20 miliardi l’anno per divertirsi ancora

Europa lieta di aprire il portafoglio: 20 miliardi l’anno per divertirsi ancora
Bruxelles prepara un salto nel buio: Trump tra scetticismo e armi a Kiev per incastrare Putin

Siamo delusi ma non ancora arresi: questa, in soldoni, è la posizione di Donald Trump su Vladimir Putin. Il presidente degli Stati Uniti ha scelto di giustificarsi con la solita eleganza durante un’intervista telefonica esclusiva, negando fiducia a quasi chiunque ma senza chiudere completamente il conto con il leader russo.

La dichiarazione arriva giusto poche ore dopo che Trump ha annunciato un cambio di strategia dall’America: armare l’Ucraina e promettere sanzioni più severe contro la Russia, qualora Mosca non si decidesse a firmare un cessate il fuoco entro 50 giorni. L’ironia della situazione? Sembrerebbe una sfida lanciata col cronometro in mano, tipo reality show diplomatica.

Il presidente, non nuovo a prese di posizione “chiare”, ha ammesso di aver provato ben quattro volte a chiudere un accordo di pace, senza esito però. “Stiamo lavorando”, ha detto, tentando di tenere viva la fiammella della speranza mentre con sarcasmo ha aggiunto: “Farò una bella chiacchierata con lui. Gli dirò: ‘Penso che siamo vicini a un accordo’, e poi lui farà saltare un palazzo a Kiev”.

Nel frattempo trapela che Washington starebbe pensando di fornire a Kiev i missili Tomahawk: arma di precisione dal valore simbolico e strategico, utilizzata persino nei recenti raid in Iran. Secondo le indiscrezioni, Trump avrebbe discusso fino all’ultimo minuto questa possibilità ribaltando quella che sembrava una linea prudente.

L’idea è di vendere queste armi ai Paesi NATO, che poi le passerebbero direttamente alle forze ucraine, formando così un meccanismo tortuoso per giustificare ogni singolo colpo sparato contro Mosca o persino San Pietroburgo. Un gioco al massacro diplomatico, condito da un sistema di passaggi che permettono a Washington – ufficialmente – di mantenere qualche alibi morale.

Il cosiddetto pacchetto da 10 miliardi di dollari di aiuti militari non si limita ai Tomahawk: si prevede anche di autorizzare l’uso a pieno raggio dei missili Atacms già presenti in Ucraina, capaci di raggiungere obiettivi fino a 300 chilometri di distanza. Non abbastanza per mettere nel mirino diretto le principali città russe, ma evidentemente sufficiente per prolungare la guerra sporca spostando i confini dello scontro ben dentro il territorio di Mosca.

Ovviamente, ogni volta che gli ucraini vedono allungarsi la gittata dei loro missili, i russi si limitano spostando cautamente indietro aerei ed equipaggiamenti, dimostrando un gioco di scacchi dove ciascun pezzo viene mosso con gesto calcolato. Ma nella danza delle armi, nessuno sembra voler fermare la musica.

Le fonti raccontano, come se fosse un’epifania strategica, che Trump abbia preso questa decisione per almeno tre ‘ragioni divine’: prima, la percezione di essere preso in giro da Putin, che ignora platealmente le sue richieste di cessate il fuoco; seconda, l’entusiasmo provocato dalla potenza Usa dimostrata con i raids in Iran; terza, la convinzione ormai acquisita che l’unico modo per far negoziare il Cremlino sia brandire la minaccia come un bastone pronto a colpire.

Un cocktail esplosivo che lascia poco spazio all’ottimismo: perché alla fine, se la fiducia è un optional e ogni tentativo di dialogo è segnato da esplosioni a Kiev, la soluzione sembra funzionare solo a colpi di missili. E se qualcuno pensava che la diplomazia americana fosse fatta di parole, è chiaro ormai che predilige i fatti… silenziosi, ma molto rumorosi sul campo.

Ah, la classica strategia del “aumentiamo la tensione per poi calmarci un po’”. Qualcuno ha davvero inventato una nuova scienza politica chiamata “escalation per ottenere la de-escalation”. Ma almeno procede con la consueta eloquenza di chi sa sempre come complicare semplici questioni.

Kaja Kallas, l’Alta rappresentante della politica estera dell’Unione europea, ha condiviso la sua brillante speranza: oggi potrebbe arrivare un accordo sulle nuove sanzioni Ue contro la Russia, anche se “c’è ancora qualche dettaglio da sistemare”. Davvero confortante sentirsi così vicini a un accordo mentre si litiga ancora sui numeri e sui colori delle nuove sanzioni.

Proseguendo nel suo contegno diplomatico da manuale, Kallas ha aggiunto che “è un buon segno che gli Stati Uniti abbiano finalmente capito che la Russia non ha alcun interesse per la pace”. Beh, chi l’avrebbe mai detto? Speriamo ora che anche gli USA si decidano a mettere mano al portafoglio con nuove sanzioni. Che sollievo sapere che l’Unione europea sia “molto vicina” a raggiungere il cosiddetto 18° pacchetto di sanzioni; altrimenti come faremmo a sentirci produttivi?

Nel frattempo, dall’altra parte della barricata, Dmitry Medvedev, vice presidente del Consiglio nazionale di sicurezza russo, lancia una perla di saggezza su ‘X’ (ex Twitter, per i nostalgici). Commenta lo spettacolare ultimatum teatrale di Trump al Cremlino con la solita punta di disinteresse:”Alla Russia non interessano le tue dichiarazioni”. Ah, che originalità! Frasi che ricalcano fedelmente la tradizionale arte della diplomazia russa: ignorare con classe.

Da Pechino arriva invece un coro di solidarietà in salsa “non ci piace che ci impongano la nostra volontà”. Il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Lin Jian, ha espresso il fermo dissenso della Cina a tutte le “sanzioni unilaterali illegali” e alla “giurisdizione a lungo termine”. Tradotto: “Noi non c’entriamo con la guerra commerciale, nessuno vince, smettetela di fare pressione”. Un messaggio clarissimo, pieno di quel pragmatismo che orienta le politiche di Pechino verso la collaborazione e il rispetto internazionale, come ormai ben sappiamo dalle firme di quei trattati internazionali…

L’energia del patriottismo infiamma pure il discorso di Volodymyr Zelensky, che su ‘X’ campeggia con un messaggio da manuale: “Gli ucraini erano qui, sono qui e resteranno qui. La vita trionfa sempre, i valori e lo spirito prevalgono. Felice Festa della Repubblica, felice Giorno del Battesimo della Rus’-Ucraina! Gloria all’Ucraina!”. Un tripudio di sentimenti nazionali declamati a gran voce, giusto per ricordare a tutti chi comanda la scena.

Nel frattempo, le diplomazie si affaccendano: Sergei Lavrov, ministro degli Esteri russo, ha fatto un salto a Pechino per incontrare il presidente Xi Jinping. Il motivo? Partecipare alla riunione del Consiglio dei ministri degli Esteri dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (Sco). Per uno che gira il mondo in cerca di alleati contro l’isolamento, la Sco è praticamente il festival della collaborazione internazionale… o forse un club nostalgico per ex giganti geopolitici che si tengono per mano.

Dal comunicato ufficiale emerge che tra i temi in agenda c’erano le visite di alto livello (leggi: la benedizione a Putin per il summit della Sco) e la celebrazione dell’anniversario della Seconda guerra mondiale. Nulla di più pertinente in tempi di conflitti e tensioni globali, insomma.

La Tass, sempre pronta a celebrare gli incontri di gala dei potenti, riferisce che Xi ha tenuto una “riunione generale” con i ministri degli Esteri della Sco – probabilmente uno di quegli eventi in cui si fa tanto discutere e poco si conclude. Lavrov, dal canto suo, ha incontrato l’omologo cinese Wang Yi per una chiacchierata sull’Ucraina e su come tenere gli Stati Uniti a debita distanza. Prima di tutto ciò, il ministro russo ha pure fatto una capatina in Corea del Nord, dove ha ricevuto assicurazioni di supporto nel conflitto con l’Ucraina. Perché nulla sprona come il sostegno di un regime noto per la sua apertura e trasparenza.

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