Una delegazione di otto membri del Parlamento Europeo ha deciso di prendere la via della Repubblica Democratica del Congo (RDC) dal 27 al 29 ottobre. La missione? Valutare la strategia della Unione Europea sullo sviluppo sostenibile in contesti che, diciamo, non sono esattamente il paradiso terrestre.
Parliamo ovviamente di quelle zone fragili dove fare politica e progetti di pace assomiglia molto a ballare su un tappeto di mine, metaforicamente e a volte letteralmente. I nostri eroi europei avranno quindi il compito (arduo!) di capire se l’ambiziosa iniziativa Global Gateway dell’UE funziona davvero nel cuore di Lubumbashi, capitale economica del Paese. Dove “funzionare” dovrebbe significare non solo due pie ristrutturate, ma un’intesa tra sviluppo economico, pace e diritti umani.
Durante la loro escursione diplomatica, i deputati incontreranno funzionari governativi, rappresentanti di associazioni civilistiche che – sotto voce – cercano di proteggere i diritti umani, la biodiversità e di mantenere una governance anche soltanto vagamente trasparente nel settore minerario. Ah, perché ricordiamo con sarcasmo che i minerali congolesi hanno un ruolo da protagonista nelle filiere globali delle materie prime critiche. Mettiamola così: il mondo occidentale si lecca i baffi, ma poi sospira pensando a come sono estratte quelle stesse risorse.
Durante i tre giorni, tra un “encore” di foto e strette di mano controllate, i parlamentari toccheranno con mano – letteralmente o quasi – i progetti finanziati da Bruxelles: dall’agricoltura all’istruzione tecnica e professionale, dall’inclusione delle comunità locali al sostegno alle donne (perché sì, anche lì serve empowerment), fino alla tanto ipocritamente deplorata piaga del lavoro minorile. Insomma, un tour de force perfetto per dimostrare che l’Europa c’è, anche quando il quadro rimane, per delicatezza, estremamente complicato.
La solita storia degli intenti nobili e della realtà complicata
Nonostante il tono solenne e le belle parole sulle “reti di cooperazione”, è inevitabile una domanda: quanto della retorica europea sui “nexus” tra sviluppo, aiuti umanitari e mantenimento della pace si traduce davvero in risultati tangibili? O siamo di fronte a una collezione di buone intenzioni che si arenano tra corruzione, ingerenze politiche e scarsità di risorse locali?
Il progetto Global Gateway si presenta come il grande salvatore dello sviluppo sostenibile, ma i segnali che arrivano dal campo sono spesso un mix di speranze vane e piccoli successi frammentati, forse per tenere alta la narrazione di un’Europa impegnata nel “salvare il mondo”. Che poi venga salvato davvero, è un altro discorso.
Come non citare poi l’onnipresente questione dei minerali – quella risorsa tanto preziosa per le industrie europee quanto problematica per la popolazione locale. La trasparenza sulla loro gestione pare un miraggio, mentre le famiglie in quelle zone continuano a vivere in condizioni che al mondo occidentale non dispiacerebbe dimenticare.
Il viaggio di esplorazione tra retorica e realtà
I parlamentari si immergeranno in incontri con chi sul campo prende decisioni, ma anche con chi quotidianamente combatte per mantenere viva la speranza di un futuro dignitoso per la comunità. Le visite ai progetti di formazione tecnica e empowerment femminile sono senza dubbio importanti, ma non possono far dimenticare che ci troviamo in un terreno minato da inimicizie, povertà cronica e interessi enormi e contraddittori.
Un’occasione utile, forse, per l’Unione Europea di mettere in fila qualche dato concreto prima di arringare in Europa su come sta cambiando il mondo grazie ai suoi sforzi. Oppure, come sempre, un modo elegante per fotografare una realtà complessa senza sconvolgere troppo l’ottimismo burocatico tipico delle capitali europee.



