Elsa Fornero ha versato lacrime quando era ministro, e questo, a quanto pare, è un evento da studiare con la solennità di un momento storico, ma certamente non dai vili mercati finanziari, i quali, ironia della sorte, si mostra immuni alle lacrime effimere di qualsiasi ministro in carica.
Il punto, sostiene la stessa Fornero, non è mai stato il pianto in sé, ma quanto siano disgustose, ingiuste e, ovviamente, intrise di sessismo le critiche spietate che accompagnano questi momenti di debolezza emotiva, specialmente quando accadono a donne depositarie di potere. L’ultimo episodio? La ministra britannica Rachel Reeves, sorpresa mentre lasciava scorrere qualche lacrima nell’aula di Westminster, evento che, guarda un po’, avrebbe fatto impennare lo spread dei titoli di Stato britannici. Ovviamente, la causa è sempre il mercato che, con la sensibilità di un calcolatore scientifico, sarebbe stato sconvolto da una lacrima caduta dal volto di una donna.
Elsa Fornero conosce bene il copione: dicembre 2011, governo Monti, lei ministra del Welfare, parla di sacrifici e si lascia andare a qualche lacrima. La scena è identica, ma la reazione – ahimè – è da manuale del maschilismo più becero: derisione, ridicolizzazione, e l’immancabile accanimento digitale. Insomma, uno spettacolo che conferma che piangere da donna in politica è ancora, diciamolo pure, il peggior peccato capitale.
Chiedere cosa rappresentino queste lacrime è quasi inutile, ma al contempo svela una verità che solo i più miopi fingono di non vedere: sono la prova evidente di pressioni diverse – e ben più schiaccianti – rispetto a quelle degli uomini in cariche simili. Mentre per loro il potere è sinonimo automatico di competenza, per una donna è una battaglia continua per dimostrare di meritarselo. E se questo non bastasse, c’è quell’incancellabile cliché secondo cui gli uomini sono emotivamente impermeabili e sanno evitare le difficoltà, mentre una donna, si sa, si scioglie alla prima tempesta.
Ma è davvero concepibile che a certe altitudini istituzionali ci si metta a piangere? Ecco, Fornero ha una risposta brillante: ovviamente no, ma le lacrime, il più delle volte, non fanno alzare lo spread – questo onore spetta ad altri fattori, come la peggiore incapacità di rassicurare i mercati con provvedimenti efficaci. Le lacrime sono solo quel momento umano che, purtroppo, nessuno vuole capire perché, semmai, fabbrica piani di marcia e contratti a termine. D’altronde, mercati finanziari e sentimenti sono una combinazione intrigante quanto il fuoco e la benzina.
Rimpianti per quelle lacrime? Nessuno, visto che non si pentono delle reazioni inconsce di un’anima sotto stress, ma delle scelte fatte con freddezza sì. È troppo comodo condannare ciò che nasce da un impulso autentico e non pianificato: è successo ad Elsa Fornero, è successo a Rachel Reeves, e chissà a chi altre.
E allora perché tutto questo clamore? A quanto pare, il vero dramma risiede nell’ottusità di una società che si diverte a mascherare il sessismo in pseudocritiche politiche, partendo dal principio che le lacrime maschili sono simbolo di grandezza, quelle femminili di fragilità. Che novità incredibile, un cliché così genuinamente arretrato da strappare sorrisi (amari, ovviamente).
Piangere sul lavoro? Ah, ma sì, il classico tabù ancora vivo e vegeto. Esistono ancora i grandi maestri del mobbing maschile, intenti a soffocare ogni nota emotiva femminile, vietando non solo le lacrime ma persino il più sottile nodo alla gola. Ma si badi bene: quegli stessi uomini insistono nel ritenerSi migliori nella gestione dello stress, come se resistere a pressioni e urgenze fosse appannaggio esclusivo di un cervello maschile più robusto. Peccato che la realtà racconti un’altra storia: le pressioni eccessive sono un fardello universale, solo che nel loro caso è più consuetudine far finta di niente.


