Elio Vito rivela: Veronica Lario selezionava le cravatte e Berlusconi faceva di tutto per evitare i musoni durante le sue brillanti battute.

Elio Vito rivela: Veronica Lario selezionava le cravatte e Berlusconi faceva di tutto per evitare i musoni durante le sue brillanti battute.

Ah, Elio Vito, un uomo che ha lasciato il segno nel panorama del talk show italiano, o forse dovremmo dire che ha diffuso il virus del dibattito politico che tanto ci intrattiene oggi. In effetti, potrebbe essere il vero paziente zero della televisione contemporanea, ma non senza una certa dose di presunzione. Durante la campagna elettorale per le Politiche del 2001, con Berlusconi che volava alto e il centrosinistra che si presentava con il quarto, sì, il quarto presidente del Consiglio, Rutelli, per l’occasione, Vito si ritrovò a fare da sparring partner in un dibattito mediatico. Una sorta di combattente informale, se vogliamo essere gentili.

Ah, il glorioso momento in cui Berlusconi lo convocò ad Arcore per discutere gli slogan da esporre ai mitici elettori. E chi avrebbe detto che Elio Vito finisse per diventare il guru delle interruzioni televisive? “Francesco” lo chiamava, interrompendolo a più non posso, caricandosi probabilmente di una self-esteem da far invidia. Certo, stravolgere le convenzioni linguistiche del dibattito era qualcosa di nuovo, ma chi non ama un po’ di teatro in una campagna elettorale?

Ebbene, il giorno dopo il dibattito, uno degli storici critici televisivi, Aldo Grasso, si sentì in dovere di scriverne sul suo pezzo, certificando la “brillante” performance del nostro eroe. Ma, giusto per riempire il quadro, Berlusconi lo chiamò per congratularsi, a cui seguì una chiamata da parte della storica Veronica, che si preoccupò addirittura delle cravatte per le sue future apparizioni. Chiaramente, la classe è la classe, anche se il dibattito sembra uscire da una commedia degli equivoci.

Ma che dire, a Elio Vito è bastato un attimo per diventare famoso, e chissà come si sentirà in questa nuova, scintillante vita di celebrità. Contento, chiese? “Per nulla”, risponde. Ma qualcuno ci crederebbe mai? La riservatezza e la schiettezza non sono esattamente sinonimi nel suo mondo.

Dopo tutto, per nesuno è facile sopportare la contraddizione di essere “simpatico” al popolo di Berlusconi, ma “antipatico” al resto del mondo. Salire su un taxi divenne un vero e proprio gioco dell’azzardo. Una roulette russa con i tassisti, che oscillavano tra il farlo viaggiare gratis o il rifiutarsi di caricarlo. Chi l’avrebbe mai detto che la politica potesse portare a tali situazioni bizzarre?

Prima ancora, aveva aperto la strada all’ingresso degli intellettuali di sinistra in Forza Italia. Com’è andata a finire? “La candidatura in Forza Italia di nomi illustri come Lucio Colletti, Marcello Pera, Giorgio Rebuffa, Piero Melograni e Saverio Vertone alle elezioni del ’96 è stata una delle migliori mosse di Berlusconi in politica. Mi occupai della parte preparatoria insieme a Peppino Calderisi, un altro che, come me e Marco Taradash, proveniva dal mondo dei Radicali. La rivoluzione liberale promessa dal Cavaliere passava anche attraverso la presenza in lista di figure tanto prestigiose, estranee al mondo Publitalia-Fininvest e, in alcuni casi, anche di estrazione culturale marxista-leninista”.

Gli odiati “comunisti”. “Alcuni di loro sono rimasti a lungo; altri, dopo l’elezione, sono spariti nel nulla. O, più probabilmente, fatti fuori”.

A chi si riferisce? “Un giorno, durante un’assemblea dei gruppi parlamentari, Berlusconi fece una di quelle battute che avevano il pubblico in lacrime per le risate. Non ricordo se fosse una delle sue barzellette; comunque, si accorse, circondato da mani che si spellavano per applaudire, che Saverio Vertone stava immobile, senza sorridere né applaudire. Una cosa intollerabile per il Cavaliere, che riteneva che i suoi dovessero ridere a tutte le sue stramberie. Berlusconi si interruppe e fece una scenata pubblica. Vertone, giustamente indignato per il trattamento riservato, lasciò immediatamente Forza Italia. Ripensare a quell’episodio ora mi fa riflettere su come Berlusconi, tra le mille invenzioni, abbia anche creato lo streaming, poi adottato da Beppe Grillo: le riunioni di Forza Italia venivano sempre trasmesse, ma la vicenda di Vertone non uscì mai.”

Elio Vito, che è stato più volte capogruppo di Forza Italia alla Camera e ministro dei Rapporti con il Parlamento nell’ultimo governo Berlusconi, abbandonò il partito azzurro nel 2022, dimettendosi anche dal Parlamento. “Il primo a fare una mossa simile. Poi c’è stato Carlo Cottarelli, nella legislatura attuale”. Recentemente è uscita anche la sua autobiografia politica, Quel che so di loro. Trent’anni di un radicale in Forza Italia, pubblicata dalla casa editrice Rubbettino.

Quando ha iniziato a fare politica? “Nel 1976, a sedici anni, accompagnando mio fratello a un congresso dei Radicali a Napoli, a Fuorigrotta. Ero un grande lettore e ammiratore di Pier Paolo Pasolini, assassinato l’anno prima, proprio la notte prima di un suo intervento al congresso radicale di Firenze. Le parole straordinarie che aveva scritto, lette nella commozione generale, parlavano di sinistra, diritti civili e del coinvolgimento dei giovani in politica. Fu grazie a Pasolini che divenni radicale”.

Primi ricordi? “Ricordo la sede vicino a piazza Dante a Napoli, storicamente legata ai missini. Ogni volta che volantinavamo, eravamo aggrediti dai fascisti, che strappavano i nostri manifesti. Ma il giorno dopo tornavamo, e ci ritrovavamo sempre al punto di partenza: noi aggrediti e i nostri manifesti distrutti.”

Come finì? “La nostra nonviolenza alla fine ebbe la meglio. Loro si stufarono, noi no”.

Tanti anni dopo, vide da vicino Enzo Tortora, processato per camorra. “Aveva ottenuto i domiciliari a Milano, e per seguire quel processo paradossale, era costretto a lunghi viaggi in auto fino a Napoli, durante i quali lo tenevano ammanettato. Arrivava distrutto. Una sera mi chiese, e per fortuna mi fu concesso di portargliela, una pizza”.

Qual è stato il suo rapporto con Pannella? “Quando venne eletto per la prima volta in consiglio comunale a Napoli, iniziai a fargli da assistente. Trovai, nel regolamento, un articolo 37 che gli permetteva di parlare all’inizio della seduta. Grazie a questa scoperta, interveniva sempre, dando vita a dibattiti in cui partecipavano le altre figure di spicco”.

Un vero guru della politica italiana ci racconta la sua storia, con nomi che anche i più distratti ricorderanno: Gerardo Chiaromonte, Giorgio Almirante, Enzo Scotti e Franco Di Lorenzo. Come se il panorama politico avesse avuto qualcosa di più che facce di gomma e slogan vuoti.

La sua prima apparizione in Parlamento? Ah, nel 1992, con i Radicali e quel meraviglioso sistema delle preferenze uniche. Peccato che incarni un record minimo: 571 voti, giusto per far presente quanto fosse allettante l’idea di entrare in quel luogo di rigore somigliando più a un’esperienza da teatro dell’assurdo che a una vera carica pubblica. Ma che importa, l’importante è festeggiare i “traguardi”.

Come ha conosciuto Berlusconi? Beh, gentile Pannella lo ha letteralmente trascinato a Milano per una riunione scintillante organizzata da Leonardo Mondadori. Due anni dopo, voilà, diventa radicale eletto con il centrodestra. Pannella non poteva crederci e ha fatto complimenti, perché niente dice “successo” come unirsi a chi ha costruito un impero sui baci e abbracci della politica.

Ma perché, di grazia, si sono raffreddati i rapporti con Berlusconi? Una miriade di motivi, certo, tra cui il fatto che Berlusconi, nella sua infinita saggezza, ha nominato Emma Bonino come commissaria europea. E Pannella si era battuto per quella nomina, ma sappiamo che in politica la rivalità è l’ingrediente segreto di tutti i successi.

Si sente sempre radicale, anche in Forza Italia? Assolutamente sì! E chi non si sentirebbe tale in un partito dove la coerenza è una parola sconosciuta e il radicalismo spesso si traduce in chiacchiere? Sì, anche oggi ha un cuore radicale che batte forte, quasi come un tamburo in un corteo di protesta.

Il caso Englaro nel 2009 è un episodio che ha fatto tremare i polsi. Abbandonò il consiglio dei ministri proprio mentre si stava preparando un decreto per “salvare” la ragazza. Un decreto che, a suo modo di vedere, sembrava più un modo di mettere in difficoltà il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, piuttosto che un reale interesse per la vita altrui. E ovviamente, Englaro morì poche ore dopo la riunione, dando vita a un tragico epilogo che avrebbe reso orgoglioso l’intero teatrino della politica.

La rottura con Berlusconi? Un grande classico. È avvenuta in occasione della proposta di legge Zan. Votò a favore, si aspettava applausi e invece? Niente di tutto ciò, solo terra bruciata attorno. La coerenza, evidentemente, ha le sue conseguenze, specialmente in un partito dove l’obiezione di coscienza è un concetto così alieno da sembrare un concetto di un romanzo di fantascienza.

Si è mai pentito? Neanche per sogno! E la sua filosofia si riassume in una frase brillante che conclude il suo libro: “Alla fine, la libertà vince sempre”. Naturalmente, a meno che non si tratti della libertà di esprimere opinioni scomode all’interno di un partito che, a quanto pare, preferisce l’armonia al dibattito.

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